Lunedì 29 Aprile 2024 - Anno XXII

New York, viaggio nella memoria

Come una macchina del tempo, il “Lower East Side Tenement Museum” ci trasporta nella vita quotidiana di cinque famiglie che emigrarono in America tra Ottocento e Novecento. Emozioni e curiosità che fanno riflettere su temi ancor oggi molto attuali

Adolfo Baldizzi
Adolfo Baldizzi

Una macchina da cucire a pedale Singer, uno scialle di pizzo rosa posato su una poltrona e la tavola apparecchiata per il pranzo. È il salotto dei Gumpertz nel 1878. Nell’appartamento di Adolfo Baldizzi, invece, veniamo catapultati nel 1935: un rosario è appeso a uno specchio e, sulla parete, una foto del Presidente Franklin Delano Roosvelt. Ma non è né il 1878 né il 1935. Siamo invece al giorno d’oggi, anche se sembra difficile crederlo, visitando i cinque appartamenti che costituiscono il Lower East Side Tenement Museum di New York.
Situato al numero 97 di Orchard Street, il museo del “tenement”, ovvero delle tipiche case popolari abitate da tre quarti della popolazione newyorkese tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi trent’anni del Novecento, è un viaggio commovente nel tempo, nella memoria e nella storia di tutti quelli che accorsero in America alla ricerca di un lavoro e per costruirsi una vita migliore.  
Circa dodici milioni di persone, il cui viaggio di lacrime e speranza è rappresentato nel Museo di Ellis Island, l’isola prossima alla Statua della Libertà,  dove venivano censiti e controllati gli immigranti che arrivavano quotidianamente dall’Europa e non solo. In questo contesto il Tenement Museum è il proseguimento ideale del Museo di Ellis Island, poiché mostra che tipo di esistenza questi nuovi cittadini americani conducevano una volta sbarcati nella “terra della libertà”.

Da una casa abbandonata è nato un museo

Una camera a Orchard Street
Una camera a Orchard Street

“Per una nazione di immigrati, qual è l’America, non c’è luogo più rappresentativo e denso di significati del tenement”, spiega Ruth J. Abram, fondatrice e presidente del museo, che è anche un’associazione no-profit con l’obiettivo di promuovere il dibattito sulla democrazia, i diritti civili e l’identità nazionale.
Aperto nel 1988, il museo nasce dalla “scoperta” di questo caseggiato abbandonato negli anni Trenta e rimasto sfitto per mezzo secolo.
Esternamente, il tenement di Orchard Street non è diverso da tutti gli altri caseggiati popolari di quel periodo. Un edificio di quattro piani di mattoni rossicci, con piccole finestre sulla facciata esterna. Ma a differenza degli altri tenement – che nel corso del Novecento sono stati rasi al suolo o ristrutturati – la palazzina di Orchard Street è stata ritrovata così com’era quando fu lasciata nel 1935 dagli ultimi inquilini, i Baldizzi.
Pur in uno stato di quasi completo abbandono, tra le mura degli appartamenti si celava un vero tesoro: vestiti, stoviglie, fotografie, calendari e perfino un rotolo di carta igienica d’antan, appartenuti alle numerose famiglie che vi vissero.

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La famiglia Rogarshevsky di fronte al 97 di Orchard Street, nel 1915
La famiglia Rogarshevsky di fronte al 97 di Orchard Street, nel 1915

Oggi è possibile visitare cinque degli otto appartamenti dell’edificio.
Oltre a quello dei tedeschi Gumpertz e degli italiani Baldizzi, quello dei polacchi Levine, del 1918, dei lituani Rogarshevsky, del 1901, e dei turchi Confino, del 1916. Parallelamente all’allestimento del museo, un meticoloso lavoro di ricerca attraverso l’analisi di dati censuari e registri, ha permesso di svelare notizie sulla vita e sul lavoro dei diversi inquilini.
Nel 1989 accade poi un fatto singolare. Josephine Baldizzi Esposito scopre che la casa in cui ha abitato da bambina (dal 1928 al 1935) è diventata nientemeno che un museo. Entrata in contatto con gli organizzatori, Josephine si è dimostrata una fonte diretta di preziose informazioni sulla vita quotidiana nel tenement dei primi del Novecento. I suoi ricordi, vivi e dettagliati e gli aneddoti, a volte tristi ma anche divertenti, sono stati registrati e si possono ascoltare visitando l’appartamento dei Baldizzi.

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