I miliardi di Euro attivati e arrivati hanno dato un impulso; e la data certa, febbraio 2006, ha posto un vincolo (solo psicologico) alla gestazione della trasformazione.
Torino guarda in là: al 2007 che la vede “Capitale Mondiale del Libro”, al 2008, “Capitale Mondiale del Design”, al 2011, “Cento cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia”. Ha messo in moto un processo e vicino delle “bandierine-evento”, per meglio tenere a mente la situazione.
Ma quel che importa a chi torinese non è, sta su un altro piano.
Quello delle realizzazioni, dei segni architettonici e ambientali che ridisegnano una metropoli nel XXI secolo. Architettura, urbanistica, “urban design”, trasporti, riqualificazione della città cresciuta con e per le industrie.
Qui proviamo a giocare con i cerchi; ad assegnare un colore all’innovazione.
Rosso Lingotto
Il Fabbricone è quello della memoria. Memoria di produttori, memoria operaia.
Agnelli che importa il fordismo dall’America e lo applica nel suo “parallelepipedo” e gli operai del “biennio rosso” (1919-20) che gli prendono il “giocattolo” (senza sapere cosa farsene, peraltro). Il rosso è quindi dovuto. A quella storia, ma anche alla “nuova storia”, quella appena cominciata.
Lo sottolinea un imponente arco alto 69 metri, pensato dagli architetti Camerana e Dutton, per unire con una grande passerella (come un ponte “americano”, 368 metri sospesi sui binari) il Villaggio Olimpico degli ex Mercati Generali (architettura degli anni Trenta riconvertita in un quartiere di bioarchitettura) con l’ex fabbrica.
Arco rosso, per l’appunto, inclinato verso il Lingotto, a fare da contraltare alla “bolla”
e allo “scrigno” che Renzo Piano ha piazzato sul tetto del “fabbricone”.
Un nuovo segno “grafico” nel cielo di Torino, forse l’espressione più evidente della “nuova città”. Quella che ha individuato la cultura come risorsa strategica di sviluppo e si comporta di conseguenza. Ribaltando le abitudini con migliaia di cantieri.
Nero Metro
Attesa. Tanto attesa. Tanto da diventare una favola, una di quelle cose che si raccontano di generazione in generazione. Ventilata addirittura da Mussolini, che però subito interrompe il suo scavo in via Roma. E poi ripresa e promessa decine e decine di volte, tanto che ora, nei giorni dell’inaugurazione, la gente ci fa la fila, per rendersi conto che quel che legge sui giornali è vero. Se è vero che solo con la metropolitana si diventa metropoli, Torino si affaccia alla categoria con la linea uno. Non è una metro come le altre: è automatica, senza conduttore. Con stazioni che sottolineano due vocazioni della città: l’arte contemporanea (progetto di Ugo Nespolo) e il cinema (film proiettati sulle pareti).
Dove sta il nero? Nero è il buio del viaggio sottoterra, nera è l’aria “sopra”, perché ci sono troppe auto e poche metro, “nera” è una città senza metro, costretta a buttar via tempo nelle code.