Verde Spine
Le “spine” non sono cose misteriose. Sono i lunghi viali di copertura del passante ferroviario, la ricucitura della città divisa.
Prendiamo la spina 2, per esempio. È costellata di opere d’arte, dalla Fontana-Igloo di Mario Merz in corso Lione al Giardino dei Caduti di Giuseppe Penone in corso Ferrucci; dalla scultura-architettura di Per Kirkeby in Largo Orbassano, a quello che presto avverrà e si chiamerà Pistoletto, Kounellis, Mainolfi, Zorio ecc..
Intorno, gli insediamenti culturali (come le Officine Ferroviarie OGR che diventano contenitore di arte contemporanea e urban center) produttivi e istituzionali.
Un esempio sono i centri d’arte contemporanea, come nel caso della Fondazione Sandretto di via Modane e della Fondazione Merz (i lavori di Mario Merz) nell’ex centrale Lancia di via Limone. Un altro i centri integrati e universitari, di ricerca applicata (Cittadella politecnica) o dirigenziali.
E il verde? Il colore in questione spunta nei corsi, che sono alberati e nei parchi, come ad esempio il grande Parco della Dora, lungo la spina 3.
Ma anche all’ Environment Park, dove si studiano le applicazioni dell’idrogeno e gli edifici sono bianchi, ma con il tetto d’erba. In questa zona, il rimescolamento è ancora più significativo: giù le fabbriche che per cento anni hanno riempito Torino e su nuovi contenitori. E qui tutti capiscono che il cambiamento è epocale.
Saltano il paesaggio e la memoria, per ricomporsi in forme contemporanee. E come se l’operaio passasse il testimone al figlio che ha fatto studiare. Nel parco della Dora c’è solo una grande “torre di raffreddamento” a ricordare i tempi delle ciminiere e vicino, la vera ciminiera che Mario Botta ha trasformato in campanile, avvolgendola in una spirale metallica, con le lucine come nei minareti.
Infatti, anche la Curia è stata contagiata dal fervore di trasformazione e ha fatto progettare all’architetto ticinese un nuovo centro sulle macerie delle acciaierie Fiat, la Chiesa del Santo Volto, otto torri di 35 metri più la ciminiera che, forse, invece delle campane, invierà segnali di fumo ai fedeli.
Poi ci sono le case, alcune decisamente originali, come il Vitali Park, o di “architettura luminosa” come il Franco Center: alloggi cablati, per single, andando incontro a una trasformazione che si immagina travolgente.
Blu Atrium e Pala-Fuksas
Il blu, l’Atrium di Giugiaro, se lo merita. Un po’ per il vetro dei due padiglioni nella centrale piazza Solferino, un po’ per il ghiaccio della “surreale” Ice Plaza, pista di pattinaggio intorno alla statua equestre del duca Ferdinando, che divide i due “gianduiotti” (come chiamano Atrium i denigratori).
Innovativo e interattivo punto di informazione-incontro, Atrium deve il suo successo anche all’improbabilità di una simile struttura in una piazza italiana, manco fossimo a Londra. Stanno lì e fanno spettacolo, i padiglioni, con l’ingombrante presenza, con le luci serali, con gli eventi che richiamano gente. In fondo, all’architettura contemporanea si chiede anche questo, di rimescolare le funzioni.
Rimescola invece il paesaggio il Padiglione Abbigliamento di Fuksas, piazzato in uno spicchio di Porta Palazzo, il mercato all’aperto più grande d’Europa.
Ora, ogni “quarto” di piazza è diverso, e Massimiliano Fuksas non ha fatto altro che sottolinearlo. Strati sovrapposti di vetro, contenitore ancora alla ricerca di contenuto, il suo padiglione è un parallelepipedo di 400 metri per 12 di altezza, una sorta di Lampada di Aladino, come ama definirlo l’architetto romano.