Pensierini e appuntini da una gita in Sud America (tomo secondo)
Inciuccarsi
è fortunatamente facile a tutte le latitudini. Basta posseder la vocazione e una “bocca buona” capace di mandar giù quello che da quelle parti passa il convento. In Bolivia (per informazione di chi non intende finire sempre “in gallina” coi soliti vino e whisky e amerebbe invece sorseggiare i “bruciabusecche” locali) meglio evitare la “chicha” per manifesta inferiorità alcolica. Si tratta di un quasi disgustoso fermentato del mais che al massimo raggiunge un grado, roba pertanto da dovere star lì a scolarne qualche ettolitro prima di poter intonare l’inno nazionale degli ubriachi, il celeberrimo “Eh la Violeta, la va, la va”. Maggiori chances di “tirar su ciucchina” (leggasi sbronza moderata) sono offerte dal “chuflay”, una sorta di hemingwayano Mojito ottenuto da soda e “Singani”, un “aguardiente” di uva del tutto simile alla carioca “Cachaça”, dato che nel sudest della Bolivia il vicino Brasile è onnipresente, con prodotti industriali, merci, scambi commerciali.
“Ciucca massima”, invece, “Forza 3” (Alka Seltzer) se di primo mattino si vuole imitare i “planteros”, quelli che vanno a lavorare nei campi, come i “Planters” della Louisiana d’antàn che usavano farsi quelle colossali mangiate e bevute mattiniere proposte oggidì da Brenan’s a New Orleans. Si procede ad alcune deglutizioni (chi scrive se n’è fatte quattro, alle otto del mattino) di Ambrosia, uno stimolatore al lavoro composto, in generoso dosaggio, dal citato Singani più Latte ancora tiepido, appena munto dalla vacca che ti ritrovi di fianco, più Zucchero, più Vaniglia.
Mica male la birra marca La Paz, 5,5°.
A Concepciòn, sperduta minilocalità della Chiquitanìa, regione compresa nell’enorme dipartimento di Santa Cruz de la Sierra, sud est della Bolivia, 320.000 chilometri quadrati, poco più della superficie del Belpaese, l’elegante non meno che confortevole hotel Concepciòn (40 dollari la doppia!) espone alcune foto di una visita dell’ex premier spagnolo Aznar. Morire che ti capiti una volta di vedere un nostro politico, al quale fanno compagnia anche i vip della finanza o dello spettacolo o dello sport, tutti identicamente, squallidamente provinciali, che spinga le sue curiosità culturali (si fa per dire) più in là di Capalbio o di Capri o della Costa Smeralda.
E non c’è mai limite al peggio: adesso sciamano pure in massa nella capitale del cartone e della cartapesta, del (dicono gli yankees per dire finto) “Mickey Mouse”, quel posto “Faro del Pensiero” chiamato Sharm El Sheikh.
L’è una corea …, dicevano gli antichi milanesi riferendosi a grandi caseggiati abitati da tanta gente di varia provenienza. E la Bolivia a suo modo “l’è una corea”.
Cominci con gli Indios, poi i “mestizos” (da non confondere con il Chino Recoba, imperituro idolo uruguayo del presidente interista Moratti) che in genere discendono più dai Conquistadores e signorine locali che il contrario (ovvio, avevano vinto i primi); poi i negri in fuga dalla schiavitù, non senza citare un po’ di pii “Mennoniti”, che girano ancora in calesse, salvo poi ritrovarteli sul jet mentre vanno a trovare i “colleghi” messicani e infine tutti quelli che colpiti dai crampi della fame nella sovrappopolata Europa, pensarono bene di attraversare l’oceano Atlantico (dagli spagnoli detto anche il “Charco”, la pozzanghera).
Massiccia la presenza tedesca, c’è pure un loro cimitero in esclusiva.
Junkers immigrati verso fine ‘800, primi ‘900; pochi i nazisti sconfitti che finirono in Argentina e Paraguay, grazie a quel “Tour operator per SS” meglio noto come “Organizzazione Odessa”.