Quanto all’emigrazione italiana, che del Belpaese nulla più sa o ricorda (molliamola con ‘sta storia del “Cuore in Italia”, chi è scappato da un posto spinto dalla fame non può certo dedicargli grati ricordi, al massimo ne ricorda le tradizioni insieme ai “paìs” coi quali emigrò) ne arrivarono più dal Brasile che da Paraguay e Argentina; distanza tra San Paolo e Santa Cruz de la Sierra? 3140 chilometri, tanto per capirci.
Davvero una “corea”, pertanto; un bel guazzabuglio di genti e razze.
Il padre della gerente dell’albergo di San Ignacio era figlio di un tedesco e di una India Guaranì, i genitori della madre erano il signor Boraschi e la signora Turcato. Dal badge che esibisce, vedo che un ragazzo si chiama Alexis Arrdirakis Bauer, gli dico “Gute Morgen” ma non risponde; allora “ce provo” con “Kalimèra” e mi guarda come fossi uno scemo.
Puerto Quijarro, 13.000
abitanti, “alcaldesa” (sindaco), la prof. Liliana Jerez Parravicini,
all’estremo sudest della Bolivia al confine con il Brasile, più a sud
il Paraguay, è – racconta una pubblicazione esposta in albergo – la
“Capital Portuaria del Paìs, unico lugar de conexiòn con los oceanos
Atlantico y Pacifico a travès de la idrovia Paraguay-Paranà”, e
aggiunge che presenta un clima “agradable con temperaturas que superan
los 40 grados …”. Non è precisato, ma la temperatura vantata lo fa
sperare, se c’è pure qualche zanzarone che ti punge e sei fatto.
Ti hanno svegliato alle cinque e venti per partire alle sei; sono le otto e venti e non c’è ancora il pullman; ti incazzi e lo dici e loro ti rispondono “estamos sobre el retraso previsto”, cugino di quel “en el retraso estamos adelantados” (nel ritardo siamo in anticipo) che commentò le proteste di un amico lamentante mesi di ritardo nella consegna di un lavoro. Ho suggerito ai miei amici boliviani di evitare simili dichiarazioni di fronte a uno svizzero-tedesco. Sente ‘ste cose e cade stecchito.