Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Massa Marittima e le tartarughe italiane

Con quel suo duomo duecentesco che ti annienta, forte dei secoli. Con una piazza fra le più irregolari, suggestive e (di sera) illuminate del grossetano, Massa Marittima è una terra di “vasta anzianità”, anche nella parte nuova

Storia sotterranea

Una galleria al museo della miniera
Una galleria al museo della miniera

Argento, piombo, rame ma anche allume, pirite, galena; ecco che cosa ha fatto la prosperità di Massa Marittima, la cui industria mineraria è stata un’attività economica di primo piano fino a un passato molto recente (alcune miniere erano ancora in funzione negli anni Ottanta del Novecento) come testimoniano i numerosi resti sul territorio delle diverse epoche di sfruttamento. Vene ricchissime erano state scoperte fin dal tempo degli Etruschi, ma l’epoca di maggior gloria della città, grazie allo sfruttamento delle risorse minerarie del contado, fu avviata intorno al Mille per raggiungere l’apice nel 1200.
Due i musei che raccontano la ricchezza del sottosuolo: il Museo della Miniera, sull’attività economica principale delle Colline Metallifere, è ambientato sottoterra in un’antica cava di travertino utilizzata come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale. Realistica riproduzione della vita e del lavoro che si svolgeva all’interno di una miniera, con settecento metri di gallerie, conserva sonde manuali, compressori, scalpelli rotativi, locomotori elettrici, elmetti, cestelli e anche campioni di minerali per illustrare le tecniche di estrazione.
E il Museo di arte e storia delle Miniere che nelle sale del quattrocentesco Palazzotto delle Armi in piazza Matteotti oltre a una ricchissima esposizione di materiale cartografico, fotografie, plastici, strumentazioni, indumenti di lavoro, binari in metallo e in legno, una raccolta di minerali, conserva anche il Codice Minerario Massetano del XIII secolo, la prima legge mineraria conosciuta in Europa.

A Massa, il centro “Carapax”

Tartaruga nell'oasi protetta
Tartaruga nell’oasi protetta

Alle porte di Massa Marittima il rifugio delle tartarughe, il più antico dei grandi dinosauri che gli Etruschi depositavano vivo nelle tombe per propiziare il viaggio dei defunti. Simbolo di lunga vita fin dall’antichità, come testimoniano le immagini su terrecotte, monete, statue, mosaici, ma anche di saggezza, felicità e potenza sessuale.
Sensibile e fragile anche se il suo corpo corazzato non lo dimostra, bisognosa di sole per vivere, la tartaruga muore frequentemente in cattività, ha un bassissimo tasso di riproduzione, nasce già autosufficiente, ha una vista eccellente e un senso di orientamento molto preciso che le consente di ritornare alla sua tana cui è molto legata. Sopravvissuta da oltre duecento cinquanta milioni di anni alle grandi catastrofi terrestri, oggi è una specie tra le più minacciate del nostro pianeta. Il suo peggiore nemico? L’uomo.

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Massa Marittima e le tartarughe italiane

Per tutelarla un’oasi protetta: il Carapax, Centro Europeo per la Salvaguardia delle Tartarughe. “Questo non è un giardino zoologico ma un centro di allevamento e ripopolamento” ci spiega la direttrice del settore educativo professoressa Veerle Vandepitte che ci accompagna nel percorso immerso tra alberi secolari; “Qui accogliamo attualmente circa tredicimila tartarughe, grandi e piccole, terrestri e acquatiche, le studiamo, ci occupiamo della riproduzione, dall’incubazione delle uova alla nascita dei piccoli e le reintroduciamo nel loro ambiente naturale. Anche esemplari esotici come le tartarughe azzannatici o quelle giganti del Sahel, al terzo posto nel mondo per dimensioni dopo quelle delle Galapagos e delle Seychelles, ma soprattutto le varie specie di tartarughe dell’area mediterranea che sono minacciate dalla distruzione dell’habitat e dalle frequenti catture e sono in grave pericolo di estinzione.”

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