Vienna, Leopold Museum, Sala X. Entrate e guardate. Egon Schiele (1890-1918) “Autoritratto con spalla nuda alzata” (1912). Pennellate contorte, sofferte, la legnosità di un vecchio albero, gli occhi sperduti, il dolore espresso dal muscolo della spalla, dalla mascella, dall’orecchio. Volete una controprova? Ecco Gustav Klimt (1862-1918), con il suo “Morte e Vita” (1911) l’umanità che sogna; oppure Koloman Moser (1868-1918) con “Venere nella grotta” (1914) una donna che sembra uscire dal suo stesso imene. Tre temi, il dolore “interno”, il sogno, la sessualità, che sembrano recuperati da un libro di Freud. Quelle date, quelle dei quadri intendiamo, dovrebbero essere d’aiuto. In quegli stessi anni, proprio a Vienna, sta nascendo con fatica, la nuova scienza dell’uomo, la psicoanalisi.
Dalla Vienna del primo Novecento le parole freudiane si sono dipanate nei cieli del mondo, diventando lingua viva degli esseri umani. In modo serio o serioso, angosciante o ironico, tutti le usano e ne sono usati. Tanto che la “società psicoanalitica”, ormai, siamo tutti noi.
Smentendo così il tagliente giudizio del tagliente intellettuale Karl Kraus, che diceva che la “psicoanalisi è una malattia di cui vuole essere la terapia”.
E chissà quanti, ancora oggi, si riconoscono in questa definizione. Segno lampante dell’attualità del problema.
Una vita di “messaggi”
Sei maggio milleottocentocinquantasei. Sigismund Schlomo Freud nasce in Moravia, nella cittadina imperial-regia di Freiberg, anche se quasi subito si trasferisce a Vienna, nel quartiere ebraico di Leopoldstadt, in Pratergasse.
Ecco perché se ne riparla oggi, 2006. Sono passati 150 anni dalla nascita del “Padre” e l’anniversario va festeggiato. O perlomeno ricordato.
Il modo migliore è leggere il resto della storia e poi decidere se imbarcarsi subito per Vienna ed esplorare la capitale sulle tracce dello “zio” Sigmund.
Dunque, Vienna. Capitale culturale del mondo, in quei trent’anni cruciali tra fine Ottocento e primo Novecento. Un melting pot di esperienze, di genti, di idee, una città di fughe in avanti. In campi diversi, dall’architettura all’urbanistica, dalla letteratura alla musica, alla pittura. Basta snocciolare i nomi: gli architetti Wagner, Hoffman, Olbrich, Loos; i pittori Klimt, Schiele, Kokoschka; gli scrittori Schnitzler, Roth; i musicisti Mahler e Shönberg.
Forse è proprio l’eccesso di tradizione (la Corte, l’Imperatore, il walzer, l’operetta) di immobilismo, a determinare la rottura. Come diceva il già citato Kraus: “È un’ingiustizia parlar male di Vienna sempre per i suoi difetti, quando vale la pena parlar male anche dei suoi pregi”.
È in quell’humus culturale, in cui tutti sembrano cercare strade nuove, che si manifesta la rottura del Dottor Freud. Lo “scandalo” di una visione originale che indaga comportamenti e patologie da far risalire alla sessualità. In realtà, gli scandali sono due. Il primo riferito agli intellettuali, che vedono scandaloso il dover rivedere le proprie teorie, soprattutto quelle riferite alle proprie, di patologie. Thomas Mann diceva che la psicanalisi ha introdotto “uno scetticismo, un dubbio, il quale smaschera tutti gli schemi e sotterfugi del nostro animo”. Nella vita come nell’arte.
Il secondo riferito ai borghesi, perbenisti e sessuofobici in pubblico, però turlupinati dalle idee antisemite che cominciano a riprendere fiato, comode per veicolare lo scontento verso un obiettivo facile facile, che in un medico ebreo (non praticante ma pur sempre ebreo) vedono l’incubo della decadenza, la fine dell’Austria Felix.
Qui, la strada di Freud incrocia per le prima volta quella di Hitler, appena convertito all’antisemitismo. Strada che diventerà uno “stop” nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, la “Notte dei Cristalli” (distruzione di novantaquattro sinagoghe e case di preghiera in città) la deportazione degli ebrei viennesi da parte di Baldur Von Schirach. E che costringerà Sigmund Freud, vecchio e ammalato di cancro, ad andare a morire a Londra (1939).
La Studio di Freud
Dove trovare Freud a Vienna? Ma nella sua casa, naturalmente. Bergasse 19 è un indirizzo “mitico”, in senso filologico. Qui si elaborano i miti e qui è il punto mitico dell’inizio.
Del primo lettino, della prima sala d’aspetto, delle statuette, del sigaro, del dottore paziente che indaga. Se quella scena l’abbiamo poi vissuta centinaia di volte, di persona o attraverso racconti, film, libri, foto, beh, qui sta la “matrice”.
E la sua casa è il suo museo (www.freud-museum.at); ci ha vissuto dal 1891 al 1938. Con in più l’emozione di suonare il campanello del Doktor Sigmund Freud (e già questo, ammettetelo, è un “frisson” in più) entrare nelle stanze dove si ha l’esatta percezione della dinamica delle cose: l’ingresso, attaccapanni e cappello, la saletta d’attesa, lo studio. E poi la biblioteca e una serie di foto in bianco e nero che ne raccontano la vita: i genitori, la casa in Moravia, la Bergasse, l’ospedale, le sorelle, la moglie e la cognata, i figli, l’esilio e il cancro.
Sempre con il sigaro (un “regalitos”) e la grisaglia per vestito, che nel tempo hanno fatto l’icona e la caricatura dello “strizzacervelli”, come dicono gli americani.
E poi le copertine dei libri, da quello sui “sogni” a quello sui “tabù”.
Un museo in senso stretto, che fa un’istantanea di un personaggio, e manda messaggi, segnali, se solo si ha l’umiltà di coglierli. La collezione di statuette e reperti antichi di cui Freud era appassionato, ad esempio, rimanda ai viaggi in Italia, alla professione di archeologo, colui che scava nel tempo. E non si può non vedere l’analogia con la psicanalisi, che scava nel tempo e nei traumi.
Gli altri luoghi freudiani della capitale
Fatta la doverosa visita, molti altri passi restano da fare. Dove? Nella città storica, quella all’interno del Ring, quella del Quartiere della Scienza (Alsergrund) del Quartiere ebraico (Leopoldstadt).
A pochi passi dalla Bergasse, accanto al Josephinum (Museo della Storia della Medicina) c’è il Vecchio Ospedale, voluto da Giuseppe II nel 1784. Un edificio grande, a più corpi e corti, dove il nostro ha studiato gli effetti della cocaina (1882-85). A proposito, una curiosità, che sembra una battuta di Woody Allen: il primo lavoro scientifico di Freud è uno studio sulle “ghiandole sessuali delle anguille”.
Al Vecchio Ospedale si vede anche un grande edificio cilindrico detto Narrenturm (Torre dei Folli) manicomio fino al 1866.
Tornando verso il ring, ci si imbatte nelle guglie neogotiche della Votivkirche (1879) di piazza Roosevelt. Qui il professore amava passeggiare dopo il lavoro e qui lo spiazzo contiguo è a lui dedicato, sotto il nome di Parco Sigmund Freud. Ci sono alberi e steli in circolo, voluti dall’Unione Europea, più un grande tavolo in pietra a simbolizzare il dialogo. Dialogo auspicato dallo studioso in un carteggio con Einstein del 1932. Un busto del dottore, fra tanti illustri viennesi, campeggia nel cortile dell’Università (1884) e questa è un’altra tappa.
Caffè viennesi, fucine di confronto
Poi si entra nella città storica, dopo avere passato il Cafè Landtmann (Dr. Karl Lueger ring 4) uno dei caffè storici viennesi. E qui, è necessario aprire una parentesi. I caffè, come tutti sanno, sono stati per Vienna molto più di semplici locali pubblici. Sono stati luoghi di idee, tavoli di scambio e di confronto, vetrine delle innovazioni. In una parola, cultura. Tra fette di strudel, di sacher, di torte così imbottite da far impallidire una dietista, si è consumato e si consuma il rito del caffè, declinato con tutte le sfumature del latte, accompagnato dalla lettura o dalla chiacchiera.
Caffè fumosi, caffè di rito proletario o borghese, con l’orgoglio del luogo “speciale”. Se il Landtmann è il luogo dell’establishment (e di Sigmund Freud) il vicino Korb (Brandstätte 9) è dove si sono tenute riunioni della Società Psicoanalitica, mentre il Central (Herrengasse/Strauchgasse) come il Griensteidl, (Michaelerplatz 2) sono stati quelli dell’intellighenzia viennese di quegli anni.
Vicino al duomo, in piazza Dr. Seipel, c’è l’Accademia delle Scienze, un tempo sede dell’università dove il nostro si è laureato in medicina. Non lontano, Judenplatz, con al centro il monumento all’Olocausto, e Seistettengasse dove, al numero 4, c’è la sinagoga “dissimulata” (1825) cioè il tempio che ha una facciata da casa “normale”.
Si attraversa il canale del Danubio e si arriva nella Leopoldstadt (allargamento cittadino seicentesco). Un quartiere ebraico dove Freud ha abitato nella giovinezza (Pratergasse la casa, Taborstrasse 24 la scuola). Proseguendo sulla stessa via si arriva al Prater, con la Riesenrad (la Ruota). Nel parco Freud festeggiava le sue pubblicazioni, come in occasione della stampa di “Totem e tabù” (1913).
L’anniversario in mostre e convegni
Per il centocinquantesimo anniversario della nascita, città e Museo hanno preparato un programma intenso e diluito nel tempo. Un depliant illustra le tappe di una visita viennese sulle tracce del Maestro, mentre alcune colonnine con poster di temi freudiani indicano un particolare percorso (“Paths leading to unconscious mind” (sentieri che conducono all’inconscio, agosto-settembre). Una mostra particolare è
“Il lettino: pensare rilassandosi” (Museo Freud, 5 maggio – 5 novembre) che riflette sui molteplici significati, terapeutici e non, del mobile, offrendone diversi esempi (quello di Otto Wagner, quello dell’Expo 1873, per esempio) insieme a immagini, oggetti, filmati relativi ai trattamenti nell’epoca di Freud; per poi passare all’uso terapeutico attuale e alla sua appropriazione da parte dell’arte contemporanea (Man Ray, Andy Warhol, Max Ernst). Il “lounge” del museo viene attrezzato con lettini e poltrone di Wittmann. Ci sono poi incontri, conferenze, lezioni, studi, una lettura di lettere di Freud in autunno e lo stuzzicante “Batti, batti o bel Masetto” (Albertina, autunno), un simposio sulla psicologia delle protagoniste femminili del Don Giovanni di Mozart.
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