Tra le nuove-vecchie pietre, l’anima polacca
Osservare e riflettere su questo gioco tra i concetti di vero e di falso qui è sorprendente e istruttivo. Le case sono state ricostruite com’erano e dov’erano, grazie alle vedute “fotografiche” dipinte nella seconda metà del Settecento da Bernardo Bellotto, nipote del Canaletto, che dallo zio apprese l’arte del dipingere descrittivo e minuzioso, e che proprio a Varsavia morì; vedute oggi conservate nel castello reale che “apre” la città vecchia. Il Bellotto è talmente popolare a Varsavia da apparire con i suoi quadri sulle cartoline e sulle scatole di cioccolatini: senza il suo lavoro di duecento anni prima Varsavia oggi forse non sarebbe com’era.
Più che di una ricostruzione, si è trattato di una “restituzione” dopo le malvagità della guerra. Gli edifici sono stati ricostruiti con la massima cura non solo per i volumi e lo stile delle case, ma anche per i materiali – per quanto possibile recuperati tra le macerie – per le decorazioni, per gli accessori, per le tecniche edilizie, per ogni dettaglio. Sono stati usati appropriatamente pietre, intonaci, mattoni: questi ultimi sono stati fabbricati manualmente, all’antica. Molte porte sono fasciate di ferro chiodato, simili a forzieri; le vetrine delle botteghe sono in realtà le ampie finestre ad arco del piano terra, dotate di scuri in legno o in ferro. Gli intonaci sono decorati a graffito, i rilievi barocchi esterni alle case sono lievemente dorati.
La piazza principale, la Piazza del Mercato – un quadrato quasi perfetto, che a ogni lato porta un nome diverso – è la riproduzione, casa dopo casa, di una Varsavia intatta. E per giunta bella.
Falso e autentico. Polemica sterile
Si dirà: ma tutto ciò è falso. Ma spesso il falso – e questo ne è un caso emblematico – è frutto di scelte consapevoli. Anche vicino a noi, a Milano, sono sostanzialmente “falsi” il Castello Sforzesco e Palazzo Marino come oggi li vediamo, ridisegnati a fine Ottocento da Luca Beltrami. Il Castello, ormai degradato a caserma, doveva essere demolito e Beltrami ne fu uno strenuo difensore. Falso è un borgo delizioso come Grazzano Visconti, presso Piacenza, fantasiosa ricostruzione su modelli medievali.
Varsavia è stata spinta alla ricostruzione “fedele”, cinquant’anni fa, da un grande slancio di passione che ha voluto fare del recupero del centro storico il simbolo della rinascita di tutto il popolo. E quella ricostruzione, oggi protetta dall’Unesco come un brano del patrimonio dell’umanità, ha fatto scuola.
Così a Varsavia passano gli anni ma si continua a “ri-costruire” in stile. Il Castello, proprio quello che conserva le ventidue tele del Bellotto e che è posto all’ingresso della Città Vecchia dominando la sponda sinistra della Vistola, è stato completato alla fine degli anni Ottanta: chi lo vede oggi al massimo potrebbe pensare, come per tutti gli altri edifici della stessa area, che sia stato restaurato di recente. Invece no: è rifatto di sana pianta.
Un esempio ancora più singolare è costituito dal palazzo dell’ex municipio, il Ratusz, situato dietro al Teatro nazionale. La facciata ha un andamento tardo barocco, con rientranze curvilinee, caratterizzata da un’ampia fascia trattata a bugnato; il portale è scandito da due colonne e da due nicchie per statue. Bene; il tutto è stato completato quattro anni fa. Un occhio attento può cogliere un aspetto anacronistico: oltre quella facciata c’è un moderno palazzo per uffici, funzionale alle esigenze delle attività che ospita. Si tratta dunque di una semplice quinta, chiesa e torre comprese.
Ma ricostruire in quel luogo un palazzo moderno, pur di pregio architettonico, non avrebbe in nessun caso potuto ricreare l’atmosfera richiesta dalla ricerca di suturare antiche ferite. E in tutto il centro si continua: là dove ci sono i modelli originali, le facciate vengono rifatte com’erano.