Con la Varsavia riedificata, quella moderna
Varsavia non è tuttavia solo di gusto antico. La ricostruzione della città rientra in due grandi fasi: prima del regime comunista e dopo. Durante la sudditanza all’Unione Sovietica si sono costruiti edifici grandi, squallidi, grigi, anonimi, affollati di famiglie: le grandi comunità di abitazione, figlie di Le Corbusier, sono state strumenti politici, perché la convivenza forzata favorisce il controllo reciproco degli abitanti.
Di quest’epoca il Palazzo della Cultura, un edificio di trenta piani “donato” da Stalin nel 1955, che in un impeto iconoclasta, una dozzina d’anni fa, rischiò di essere distrutto. L’altra fase costruttiva, quella “dopo il muro” ha riempito la città, che in questi anni è stata il cantiere più grande d’Europa dopo Berlino, di grattacieli, di alberghi, di architetture ardite, di quartieri satellite in stile occidentale, anche un grande palazzo di Norman Forster nella Piazza Victoria.
È proprio il forte contrasto delle sue varie anime che rende Varsavia una città straordinariamente interessante, degna di una lettura che non deve essere superficiale.
Chopin
Fryderyk Chopin è uno dei grandi simboli di Varsavia e della Polonia, il polacco più celebre. Nella capitale, la chiesa di Santa Croce conserva in un’urna il cuore del celebre musicista, morto a Parigi nel 1849. Nei sobborghi di Varsavia, a Zelazowa Wola, un piccolo villaggio, è visitabile la casa dove il 22 febbraio del 1810 egli nacque. Suo padre era il maestro di casa degli Skarbek, i signori del luogo.
La casa fu distrutta dalla guerra, ma fedelmente ricostruita. È una piccola villa con l’ingresso scandito da due colonne, immersa nel verde dei rampicanti e affacciata su un giardino. E’ arredata con mobili dell’epoca e testimonianze, autentiche o in copia, della vita e del lavoro di Chopin. D’estate vi si tengono concerti molto suggestivi.