Arruolato in un Famtrip organizzato dal Movimento Turismo del Vino del Friuli-Venezia Giulia, lo scrivano sta girando per la Marca nord orientale del Belpaese. Insieme a giornalisti della Stampa Estera, negli stop tra agapi e libagioni si è anche soddisfatto qualche esigenza culturale, visitando Monfalcone, Gorizia, il Collio e Udine. La mega gita approntata dagli amici furlàn, volge, ahilui al termine, con quest’ultimo intervento, ma – come sempre nella vita – c’è ancora molto da apprendere …
Insieme ai colleghi della stampa estera (e a conti fatti posso pure considerarmi uno di loro, appartenendo alla Fepet – la “Federaciòn Española Periodistas” – in quanto socio dell’Apetex, “Asociaciòn Periodistas Extremadura”) lascio la bella Udine suscitante in me un misto di sensazioni, ricordi, meditazioni, reminescenze palatali. Se mai dovessi iniziare da queste ultime, torno a citare il sapido Frico (nella versione udinese, con patate e cipolla, appetto alla versione del Collio, solo formaggio) aggiungendovi prosciutti e vini. Se invece si parla di Sport, eccomi giovinetto futballaro (quelli sotto i cinquant’anni saltino le due righe che seguono) ammirante l’Udinese che pervenne al 3° posto in campionato (oltre a un mostro di sopportazione e fatica a centro campo, tale Menegotti, c’era un divino e quasi albino attaccante svedese di nome Selmonsson noto anche come “Raggio di Luna”).
Tenacia friulana e fame d’antan
Ma più prosaicamente andrei sul sudore da lavoro, l’abnegazione, la perseveranza, lo spirito di sacrificio e di fratellanza (perché non chiamare Eroismo l’insieme di tutte queste prerogative?) nel ricordare quanto fatto dai Friulani in occasione del terremoto del ’76 (vedere Gemona per credere). Infine, fosse solo in omaggio alla goliardia, delle cui battute resterò in eterno un coriaceo corifeo, eccomi – mentre Udine sfugge all’orizzonte – narrare a una curiosa giornalista newyorchese il profondo significato del glorioso detto locale “Friùl Tete e Cul”.
Attraversiamo una delle zone più ricche del nordest, ma un pensiero vada agli antenati dei tanti neoricchi viventi nelle villette e bei condomini che lasciamo alle spalle. Avi, non poi tanto lontani – anche solo nonni se non padri – che per sfamarsi preparavano nel paiolo un’umile polenta dopodiché vi scavavano un buco nel mezzo, vi sbattevano dentro quel che c’era, a mò di insaporente condimento (un evviva se affioravano dalla dispensa un paio di luganeghe) e riuniti familiarmente in circolo attorno al fumante desco combattevano la lotta quotidiana contro l’unico e quindi più importante nemico allora esistente: la Fame.
Panta Rei, tutto scorre, cambiano i tempi. Tant’è che oggidì le discendenti dei citati affamati e pure vittime della pellagra, ammirano invidiose in tivù le modelle anoressiche, mentre i loro drudi infilano nei carrelli del supermarket costose merendine transgeniche. Mah.
Una “Vittoria” dimenticata
Datosi che la citata (4° tomo) visita di Udine aveva luogo il 4 Novembre – 1918, fine della Grande Guerra, vittoria dell’Italia ancorché, ahinoi, un filino dimenticata non avendovi partecipato né Paolo Rossi né Cannavaro – poteva forse la 4a tappa del Famtrip Stampa del Movimento Turismo del Vino non concludersi al Sacrario di Redipuglia? No davvero, eppertanto eccoci sbarcare in questa località (il cui nome non ha niente a che vedere con la Regione Puglia ma più semplicemente deriva dallo slavo Rodo Polje, campo nudo) un posto che (comunque la si voglia pensare a proposito di guerre, morti, retorica e ipocrisia) lascia ovviamente spazio a qualche meditazione.
Fortunatamente capitati a Redipuglia in occasione dell’anniversario della Vittoria (un tempo Festa Nazionale, oggidì annullata, forse per fare posto all’augusto Compleanno Genetliaco di Pippo Baudo) si è financo riusciti ad ammirare una ricostruzione storica delle vicende belliche tra Italia e Austria-Ungheria.
Quei “tognini austroungarici” i cui eserciti – chi non ricorda il Bollettino della Vittoria, Firmato Diaz, talché a molti pargoli venuti al mondo dopo il 4 novembre 1918 fu affibbiato il nome Firmato? – finì che risalirono “in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.
“Recitando” il passato…
Ed eccole qui le comparse “ricostruenti” la Prima Guerra Mondiale (1915, per l’Italia, 1914 per il resto del mondo – 1918 per tutti) da cui l’insorgere di una “autodomanda” cui non sono proprio riuscito a dare una risposta. Ma come farà mai a venir voglia a un lattoniere di Rovigo piuttosto che a un geometra di Cupramontana di prendere, partire da casa e farsi centinaia di chilometri d’auto, arrivare in posti brulli e inospitali, dopodiché trascorrere ore e ore all’addiaccio, nell’umidità, infilato in una improbabile uniforme di alpino o di “alpenjaeger”, per giocare ogni tanto, con un fucilino, a catturare un “austriaco” che alzando le mani gli dice “minchia, che freddo cumpà”? Mah.
… e “ricordando” il passato
Ça va sans dire, che lo scrivente, fosse solo perché a fare il Bastian Contrario si trova quasi sempre a proprio agio. ha ardentemente sperato che almeno stavolta vincessero gli Austriaci. Niente di niente, l’ordine d’arrivo continua inesorabilmente a essere sempre il medesimo, sempre lo stesso dal lontano 1918 (ma fortunatamente a Milano, con quel che combina la sindaco Moratti, sembra stia facendo capolino qualcuno che comincia a rimpiangere la grande imperatrice S. M. Maria Teresa d’Austria).
Quella Maria Teresa che nel lontano Settecento impose ai sudditi (e quindi anche ai Furlàn ea i Triestìn) la scuola obbligatoria, pure alle femminucce, fino ai 14 anni (e a tale proposito la guida illustranteci Redipuglia ci racconta che durante la Grande Guerra, nella non distante Villesse, il nostrano esercito fucilò come spie alcuni contadini solo perché capaci di leggere e scrivere….).
Visto che quanto narrato dalla nostra Cicerona non risulta più edificante di tanto, mi consolo apprendendo che non raramente i Povercrist delle trincee, gli sfigati presi, infilati in una divisa e mandati a combattere (la cosiddetta Carne da Cannone) si aiutavano e rispettavano a vicenda (quando possibile e all’insaputa dei “superiori”). Ti scappava un bisogno, volevi prendere un po’ d’aria o fumarti una sigaretta? Uscivi dalla trincea e da quella di fronte non ti sparavano addosso.