Preghiere e pianti per i Campioni
Il pullman sta ormai arrivando in piazza. La temperatura è mite. Non scende più, come d’inverno, il vento freddo da Monte Romitorio. Ma due settimane fa, la sera del 4 maggio, Massa Marittima si era gelata ugualmente, in un silenzioso dolore.
I giovanissimi seminaristi stavano traversando in colonna piazza del Duomo, dove in piccoli capannelli di gente si parlava sottovoce. Un aereo era caduto nel pomeriggio a Superga, portandosi via la squadra di calcio più forte del mondo. Il Grande Torino era volato in cielo.
I ragazzi avevano deciso di rientrare in chiesa: volevano fare qualcosa. Ma cosa? Il Monsignore Parroco del Duomo era venuto loro incontro. Sapeva già tutto. Mentre i seminaristi stavano ancora cercando le parole per spiegare cosa avesse significato per loro quella squadra, la grande campana della torre aveva iniziato a suonare a morto.
I ragazzi erano poi rientrati in Seminario, volgendo tristi lo sguardo al cortile dove tante volte avevano giocato a pallone. Non vollero cenare. Si ritirarono in chiesa a pregare fino a tarda notte.
Una mattina d’estate di qualche anno fa
Desio non è stato ordinato sacerdote. Ha sempre ricordato però con nostalgia il periodo trascorso in Seminario e non ha mai mancato, almeno una volta l’anno, di tornare a Massa Marittima. Quella mattina, arrivato in piazza, vide che era in allestimento un’opera lirica. Il sagrato del Duomo stava diventando il salone delle feste di Violetta. Desio guardò un momento il cielo, forse cercando di ricordare qualcosa. Qualcuno che cadeva con un tonfo terribile in mezzo alla piazza. Ma erano solo stracci colorati. Poi da quegli stracci sbucò un ometto, che si rialzò e fuggì via, fra le stradine sconnesse della vecchia città.
Ma forse quell’ometto non era caduto davvero. Forse Desio stava confondendo il ricordo del saltimbanco della sua infanzia con una sua adolescente lettura, lo Zaratustra di Nietzsche.
Desio, soprappensiero, salì verso Città Nuova e poi fino al vecchio Seminario, diventato un ostello di vacanze. Quante partite a pallone tra la chiesa e il cancello… tutta la città a tifare per una grande squadra del nord, scomparsa in un triste maggio lontano, mentre a Massa le rondini sfrecciavano sopra la città dei gatti e degli abbaini. E quella formazione, rimasta per tutto questo tempo nella memoria: “Bacigalupo, Ballarin, Maroso…”.
Due occhi azzurri si volsero allora verso la pianura. Ecco il pullman, quasi nascosto dalla polvere, laggiù. Sì, proprio come una volta.
Il Grande Torino. La squadra dell’Italia intera
Alle 17.05 del 4 maggio 1949, l’aereo FIAT G212 con a bordo la squadra del Grande Torino (oltre ad alcuni dirigenti, allenatori e giornalisti) si schianta contro il muraglione del terrapieno posteriore della Basilica di Superga, alla periferia del capoluogo piemontese. L’aereo arrivava da Lisbona, dove la squadra aveva giocato un’amichevole con il Benfica. Il “Toro” aveva conquistato cinque scudetti consecutivi e rappresentava i dieci undicesimi della Nazionale.
I nomi delle vittime: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert (giocatori); Arnaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri (dirigenti); Egri Erbstein, Leslie Levesley (allenatori); Renato Casalbore, Renato Tosatti, Luigi Cavallero (giornalisti). Le vittime furono identificate dall’ex commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo. Soltanto un giocatore scampò alla tragedia: Sauro Tomà, infortunato al menisco, era infatti rimasto a Torino.