Terzo itinerario. Laddove lo scrivente e l’amico Sergio, dopo aver visitato l’ovest dell’Aragona e le desertiche Bardenas Reales nel sudest della Navarra, aver festeggiato San Fermìn negli ultimi giorni della celeberrima Feria di Pamplona ed essersi arrampicati sui Pirenei a fotografare l’inizio del Camino a Roncisvalle (sempre beninteso pernottando nei Pequeños Hoteles con Encanto di Rusticae), sono proseguiti per il Paìs Vasco (bella la frastagliata costa della Vizcaya, si medita a Guernica, ormai non solo Guggenheim a Bilbao) ed entrano nella Castilla y Leòn…
Mentre sconfinano nella Castilla y Leòn lo scrivano e Sergio commentano due piacevoli esperienze godute a Pamplona e a Bilbao. Ma non si riferiscono alle attrazioni turistiche, tipo la “pamplonica” Plaza de Toros e il bilbaino museo Guggenheim. Più semplicemente, i due viaggiatori (abituati agli oscuri parcheggi sotterranei milanesi, percorsi durante lunghi safari alla caccia di un posto auto non scovabile se non girando e cercando dove mai c’è un buco in cui infilare la vettura) ricordano con affetto gli “aparcamientos” pubblici da poco frequentati.
Ma perché tanta passione? Elementare, Watson: i posti liberi erano
segnati da una luce verde e quelli occupati da una luce rossa, provvido
accorgimento permettente la sistemazione dell’auto senza quei problemi
che nei parking milanesi (oltre ai disagi di cui sopra) costano (oltre
a indegne tariffe orarie) ritardi agli appuntamenti e brutte figure per
gli afrori accumulati alla ricerca di un posto.
Parcheggiare il “coche”? No problem!
Qui giunti ecco corrugarsi la fronte del lettore, incerto sull’interesse (e quindi dubbioso sulle capacità professionali dell’estensore di queste righe) che può mai suscitare una notizia sull’illuminazione di un paio di parcheggi ispanici. Meglio quindi commentargli tempestivamente che anche un confortevole parcheggio dell’auto può servire (d’accordo, sia pur minimamente) a definire e valutare quel bene chiamato “qualità della vita”, che da qualche parte esiste mentre da qualche altra parte è scarso assai e comunque sta andando sempre più in vacca (e chi l’ha voluta capire l’ha capita).
Tra i reperti di Atapuerca
Poichè la Castilla y Leòn è piuttosto grande (trattasi della più estesa regione europea, poco meno di un terzo del Belpaese) l’itinerario dei due amici vagabondi è più facilmente localizzabile precisando che stanno percorrendo la provincia di Burgos, mèta finale: i giacimenti fossili di Atapuerca da poco scoperti ma entro breve sicuramente celeberrimi (sennò non sarebbero stati premiati – pochi anno dopo il ritrovamento – con il “Principe delle Asturie” nel 1997 e proclamati “Patrimonio dell’Umanità nel 2000”). Una loro visita è un dovere (o come dicono gli yankees, un must) una bella esperienza culturale, lo garantisce lo scrivano non tanto per riscattarsi da temute accuse di narrare fregnacce e frivolezze (vedi i suesposti parcheggi) quanto per innata vocazione al colto e all’intelligenza. A ogni buon conto visitare Atapuerca è sicuramente un must per chi si trovasse dalle parti di Burgos (una quindicina di chilometri a est, poco distante dal Camino de Santiago) e un “quasi obbligo” per chi in Spagna non si trova, ma coltiva studi e interesse di un certo spessore, ad esempio sulla storia dell’Uomo (e scoprirà quanto sia stato invecchiato da quanto rinvenuto nei giacimenti da cui il lemma “Cultura de la Evoluciòn”).
La visita, oltretutto, dura e costa il giusto (circa tre ore, quattro euro, info, telefono 902 024246, www.visitasatapuerca.com) e risulta assai intrigante e divertente grazie all’entusiasmo non meno che alla fantasia (durante le soste esplicative da misteriose scatole di cartone sono estratti scheletri tibie denti foto e identikit a gogò) alla simpatia e al “know how” delle giovani guide (occasionali ciceroni, ricercatori a tempo pieno dei giacimenti).
Dopo gli scavi, siamo tutti più vecchi!
Tutto cominciò verso la fine dell’Ottocento con la costruzione di una trincea per il passaggio di una ferrovia trasportante minerali ferrosi dalla Sierra de la Demanda a Burgos; ardita opera di ingegneria che attraversando una territorio carsico (a circa 1000 metri di altitudine) portò alla scoperta di grotte con depositi “archeo paleontologici” di fossili umani. Le ricerche del tempo furono approssimative e superficiali, per la presenza della ferrovia e per la scarsità di risorse. Non migliori risultati si ottennero negli anni Sessanta del secolo scorso, da campagne di scavi di poca durata. Infine, nel non lontano 1973 il professor Apellàniz dell’università di Deusto (Bilbao) intraprese una decennale approfondita ricerca nel “Portalòn de la Cueva Mayor” (ingresso della grotta maggiore) che portò a una svolta decisiva nella storia dell’Uomo (ribadita tre anni dopo negli scavi nella Dolina e nella Galeria da parte dell’ingegnere minerario Trinidad de Torres, alla ricerca di fossili per la sua tesi di laurea).
Per dimostrare l’enorme importanza del Mayor Yacimiento del Mundo (in realtà i Giacimenti sono 180, di cui 7 oggetto di ricerche) basti segnalare che fino a pochi decenni fa all’Uomo veniva accreditata un’età di qualche decina di migliaia di anni (Cromagnon 30.000, Neanderthal 45.000). Oggidì Atapuerca ha spostato la nascita dell’ “Homo Antecessor” di qualcosa come 1.300.000 anni (ultimo, eccezionale e decisivo, il ritrovamento di un dente premolare avvenuto lo scorso 27 giugno tra il tripudio delle guide-ricercatori).
Nella pace del Rio de Oca
Appagata ad Atapuerca la fame di sapere (non quella gastrica, poi quietata a cena mediante un Lechazo, agnello al forno come solo in Castilla y Leòn sanno ammannire) lo scrivano e il suo co-èquipier Sergio conducevano le stanche membra a riposare in una delle sole otto camere del poco distante “Valle de Oca”, in quel di Villanasur Rio de Oca (sono più le vocali e le consonanti che ne compongono il nome, dei suoi abitanti). Pequeño hotel, come tutti quelli “rurales” di Rusticae, il “Valle de Oca” (a 37 chilometri da Burgos e, come detto, ancor meno distante da Atapuerca e dal Camino de Santiago, di cui al quasi adiacente monastero di San Juan de Ortega) intriga con un arredamento a dir poco “esotico” alternante angoli veneziani con ricordi africani stile Karen Blixen.
Gli è che, stufi di vivere nel caos di Madrid, la giovane coppia proprietaria ha pensato bene di sostituire i rumori e i gas di scarico con il silenzio e i profumi della campagna. Piaceri che lo scrivano e Sergio abbandoneranno il giorno appresso a conclusione della loro breve gita ispanica.
Il seguito alla (come si usa dire) prossima puntata.