Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Tante scuse a Genova …

Palazzo Ducale L’umile cronista di Turismo qui scrivente l’ha fatta davvero grossa: capita a tanti stolti, soprattutto a quelli che le proprie colpe non solo le confessano ma pure le riconoscono. E si scusa con la vittima della sua dabbenaggine, che è poi una città, più esattamente Genova. Dabbenaggine nel senso di incapacità professionale per avere a lungo ignorato (e qui sta l’aggravante, oltretutto vivendo il reo a poco più di un’ora d’auto dalla località offesa) quanto bella, per non dire affascinante non meno che intrigante, fosse divenuta la capitale ligure. Sia pertanto condannato chi proferisce e scrive tanti blablabla … Leggi tutto

Palazzo Ducale
Palazzo Ducale

L’umile cronista di Turismo qui scrivente l’ha fatta davvero grossa: capita a tanti stolti, soprattutto a quelli che le proprie colpe non solo le confessano ma pure le riconoscono. E si scusa con la vittima della sua dabbenaggine, che è poi una città, più esattamente Genova. Dabbenaggine nel senso di incapacità professionale per avere a lungo ignorato (e qui sta l’aggravante, oltretutto vivendo il reo a poco più di un’ora d’auto dalla località offesa) quanto bella, per non dire affascinante non meno che intrigante, fosse divenuta la capitale ligure.
Sia pertanto condannato chi proferisce e scrive tanti blablabla a proposito di  Viaggi & Turismo (oltretutto su posti mica girato l’angolo, tipo Vanuatu e Antartide) ma poi aspetta anni per affrontare una breve trasferta che lo arricchisce di ulteriore sapere e gli fornisce pure la pagnotta con visioni di scorci e bellezze da raccontare e descrivere. 

La bella Zéna, un tempo così brutta …

Palazzo Pallavicini in via Garibaldi
Palazzo Pallavicini in via Garibaldi

Ma a fronte di cotanta auto-flagellazione nello scusarsi con la (divenuta) bellissima Genova, l’umile cronista chiede però (c’è un limite a tutto, anche ai piaceri auto-sado-maso) che gli sia riconosciuta un’attenuante, corroborata da due precisazioni.
L’attenuante è la seguente. Genova, fino a pochi anni fa era (innegabilmente) così brutta, anzi bruttissima (monumenti logorati dall’incuria, sporcizia, sulla città aleggiava un senso di abbandono generato soprattutto dalla crisi economica del porto) da far pensare che mai e poi mai nel breve giro di pochi anni avrebbe potuto trasformarsi da brutto anatroccolo in cigno elegante.
(Inciso: da quanto sopra – non senza un cordiale “chapeau!” a chi ha saputo trasformare Genova in bellissima città da visitare – si evince che, alla faccia di tanti blablabla, quando c’è la volontà e la determinazione di fare, cambiare e abbellire, anche i più brutti scenari cittadini possono essere felicemente riveduti, migliorati e resi piacevoli al turista; Milano impari. Fine dell’inciso).

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Porto che vai, sesso che trovi

Teatro Carlo Felice
Teatro Carlo Felice

Le due precisazioni che seguono intendono solo testimoniare che lo scrivano, Genova la conosceva bene, tanto da poter garantire che era brutta davvero.
Brutta a tal punto che la città era così poco visitabile da circoscrivere le motivazioni per andarvi soltanto (così almeno la pensava lo scrivano) a Sex e Lavoro.
Laddove per Sex si intendeva (e risulta che tuttora esistano, ma nemmeno i Lloyd di Londra assicurano più la vita di chi si avventura in quegli antri) la via Prè e i circostanti carruggi lardellati di corpivendole in bella mostra. Sarà stato il fascino delle “Putaines d’Amsterdam” liricizzate da Brel, o una sorta di ricerca filologica comparata con i bordelli della via Nodarà al Pireo (ahi, hai, hai le città di mare! perché nella ferrea legge del sesso prezzolato vanno inclusi anche i primi duecento metri delle Ramblas di Barcelona) fatto sta che lo scrivano, appena si ritrovava dalle parti di Genova, finiva a dare un occhio in via Prè. Anche perché (una giustificazione depurante la sporca coscienza di un sessuomane si trova sempre) come detto, la città era davvero brutta.

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