Alberi da cartolina, rossi gialli bruni; sulle lunghe catene collinari dalle creste affilate (ecco il significato di “langhe”) delimitate a ovest dal fiume Tanaro, a sud dalle Alpi Liguri: bassa Langa quella carica di vigneti pregiati, alta Langa quella più selvaggia, di pascoli, boschi e noccioleti, molto bella; in tutte le stagioni. Straordinari scenari ondulati, profonde vallate, castelli, Alba gotica e barocca, nulla a che vedere con la struggente malinconia delle pagine di Cesare Pavese e di Beppe Fenoglio, ambientate in questi luoghi ancora riconoscibili.
Piuttosto, morbida terra di delizie. Carne cruda perfetta; tajarin, unica pasta asciutta davvero piemontese; fonduta, brasato, vitello tonnato, Barbaresco, Barbera, Nebbiolo, Dolcetto, Moscato e Barolo, uno dei più conosciuti e prestigiosi vini italiani nel mondo. La cultura della cucina e del vino a fior di pelle. Langhe da percorrere a cavallo, in mongolfiera, in carrozza, in mountain bike, in piccoli aerei ultraleggeri, in auto, oppure a piedi: gli occhi puntati in basso e il naso … il naso sempre allerta.
Notturno con tartufi
Il muso piantato per terra, Jolly annusa sotto le querce, attorno alle radici dei tigli, lungo i fossati popolati di salici e pioppi, sotto i noccioli e i carpini neri. Archimede lo accompagna: i cani sono due, dato che Jolly è ancora cucciolo e deve imparare, poi c’è Ezio, “trifolao” dall’età di quattordici anni, figlio di trifolao, nipote di un trifolao leggendario. È notte, il silenzio e l’assenza di distrazioni aiutano gli animali a concentrarsi e la ricerca dei tartufi ne guadagna. “Tutti abbiamo i nostri luoghi nascosti” – sussurra Ezio – “nelle tartufaie segrete si va nell’oscurità per non essere visti”. Il cane è il protagonista, il trifolao il suo accompagnatore: tra loro c’è dialogo.
L’animale scorrazza e annusa: all’improvviso inizia a raspare, il “trifolao” lo blocca e scava con il “sapin”, l’apposita zappetta di ferro ricurva; allarga con cautela la buca nella terra appena smossa, estrae un esemplare di bianco fungo ipogeo di venti grammi, ne fiuta il profumo. Ezio non commenta; il suo record, ci racconta, è un esemplare di un chilo e trenta grammi e risale al 16 novembre 2004. Annota tutto su un taccuino: luogo, epoca, luna e caratteristiche del tartufo: ogni radice di solito produce un solo tartufo all’anno e questi appunti saranno preziosi per il prossimo appuntamento.
Quindi ripristina il terreno rimosso per preservare le spore. Ceduto il tartufo al padrone, Jolly riceve il premio di consolazione: una manciata di crocchette.
Studiare da cani
“Per avere un buon cane ci vogliono circa tre anni e lo si valuta a partire dai duemila euro” – spiega il trifolao – “il cane impara giocando, a partire dall’età di tre o quattro mesi, poi a sette mesi si capisce se è tagliato o se lo si deve regalare. Noi li abbiamo sempre addestrati; ha cominciato il nonno che ha ottantun anni e tuttora va a tartufi; a volte non riesco a stargli dietro.”
Per ottenere migliori prestazioni c’è persino l’Università per cani da tartufo (www.universitadeicanidatartufo.it) un’istituzione nella casa della famiglia Monchiero a Roddi, dalla fine dell’Ottocento, dove non si addestrano i cuccioli di razza ma quelli da pagliaio, frutto di centinaia di incroci. I corsi durano pochi mesi, sono severi e basati sulla fame: uomini e cani battono percorsi memorizzati gelosamente dal crepuscolo all’alba. Inutile illudersi, però, la scuola aiuta e disciplina gli sforzi; ma cani da tartufo si nasce.