Incredibili oggetti “speciali”
Immensa la produzione di Bruno Munari. Opere d’arte che trascendono la sua epoca, alcuni degli oggetti ideati dall’artista sono divenuti testimonianze di culto del design italiano.
Dalla celebre “Macchina aerea” (1930) al ciclo delle “Macchine inutili” (1934) che non hanno alcuno scopo se non il godimento estetico (come la “Macchina per suonare il piffero anche quando non si è in casa”); dai grandi “Negativi-Positivi” (dal 1948) considerati tra le opere più alte e imitate che indagano il rapporto tra figura e sfondo, al portacenere “Cubo” (1957); dalle divertenti “Forchette parlanti” (1958) pensate per “chi gesticola con le forchette in mano”, alle celebri lampade (triangolare, cubica, esagonale, di maglia); dalle “Sculture da viaggio” (dal 1958) da portare con sé per personalizzare le camere d’albergo, alle straordinarie “Xerografie originali” (dal 1964) dove uno strumento (la copiatrice) progettato per riprodurre copie tutte uguali è usato per creare pezzi unici (come il “Motociclista”, sei xerografie a colori esposte alla mostra alla Rotonda di via Besana); dai famosi “Libri illeggibili”, riconoscibili come libri anche in assenza di parole, piccolissimi o grandissimi, bucati, strappati con innumerevoli varianti sempre sul confine tra libro e oggetto, alla “Scrittura illeggibile di un popolo sconosciuto” (che vide Munari inventare la scrittura di un popolo inesistente proprio come i bambini amano inventare alfabeti segreti); dalle “Porte sonore” (1991) all’“Orologio Tempo Libero” (1995).
Gli “oggetti” di Bruno Munari sono intelligenti e funzionali, come le “sue” case, accoglienti e pratiche, in primis la sua in via Vittoria Colonna a Milano.
Semplificare è più difficile
Spiazzava con metodo, Bruno Munari. Un metodo ferreo, sostenuto da un testo teorico preciso, certo com’era l’artista che ogni cosa, ma anche ogni momento della vita, fosse totalmente progettabile. Sempre con humour e leggerezza, forse la più spiccata qualità del designer milanese.
Le regole ci sono, poche ma chiare, per il resto si può fare tutto, non c’è mai una sola soluzione ma tante (anche e soprattutto nella vita, sosteneva) secondo la personalità e la creatività individuali. Nelle idee e nelle cose si nascondono più possibilità di quante ne abbiano attribuite loro le abitudini.
L’artista si domandava sempre, con lo sguardo rivolto alla natura per trarne ispirazione: “si può fare in un altro modo?” invitando costantemente a immaginare la stessa cosa secondo nuove prospettive, ad andare oltre il limite: delle idee, degli oggetti, ritenuto quasi sempre superabile. Il suo particolarissimo metodo progettuale è il denominatore comune della sua eclettica attività, come ha evidenziato il percorso espositivo (che si rifaceva al metodo dell’artista) della mostra antologica allestita alla Besana dall’architetto Marco Ferreri, con grafica di Italo Lupi, organizzata per aree tematiche, che ha messo in relazione settori disciplinari solitamente lontani che per Munari costituivano solo momenti diversi di un’unica attività progettuale.
Convinto com’era che “semplificare è più difficile”, il suo linguaggio intelligente e sobrio era improntato a “togliere, togliere, togliere”. In quest’epoca di overdose
(di parole, di cose) viene da pensare che il metodo di Munari non sia ancora stato pienamente recepito.
Un bambino creativo è un bambino felice
“Conservare dentro di sé l’infanzia per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare”.
Il metodo di Munari si concretizza sempre in una forma; non esiste contenuto senza forma (e materiale). Anche la vita ha una forma e dare una forma coerente alla vita era la principale ambizione progettuale dell’artista, convinto che riconoscere la struttura del mondo significasse vivere senza paura.
Perciò si rivolgeva all’infanzia, presumibilmente ancora libera da pregiudizi, progettando giochi per sviluppare la creatività infantile; collane di libri per bambini e insegnanti, dedicando ai piccoli attività apparentemente semplici, in realtà frutto di un’approfondita ricerca.
Munari si occupò sempre dell’infanzia, grande era la sua attenzione per i veri interessi dei bambini. “Capire che cos’è l’arte è una preoccupazione (inutile) dell’adulto; capire come si fa a farla è invece un interesse autentico dei bambini”. E un divertimento: da qui il valore del gioco per l’apprendimento. Si impara meglio divertendosi: ecco la rivoluzione ante litteram di Bruno Munari, ancora lontana dalla scuola italiana dove, con valida eccezione il creativo ciclo della “materna”, il contesto è spesso più normativo che stimolante, tendente a imbrigliare la creatività piuttosto che a favorirla. Ecco allora che il metodo del designer milanese appare tuttora straordinario e attualissimo, auspicabile la sua applicazione. Sosteneva l’artista amico dei bambini: “Un bambino creativo è un bambino felice”.