Venerdì 26 Aprile 2024 - Anno XXII

Al largo dell’Africa Nera

roças São Tomé-foto Maria Cartas

Isole dell’equatore, nel golfo di Guinea, legate alla storia buona e cattiva d’Europa. Gente che ha saputo fondere le radici dell’Africa nera con i positivi apporti umani del vecchio continente. In questo articolo, piccole storie di vita quotidiana

roças Bambini a São Tomé
Bambini a São Tomé

Così come è in bilico sull’equatore, l’arcipelago di São Tomé e Principe è in equilibrio tra l’Africa Nera e l’Europa. Mille chilometri quadrati di foresta primaria, banane, caffè e cacao per centocinquantamila abitanti. Per vederne la collocazione geografica basta una cartina, con le due isole principali situate nel grande Golfo dell’Africa centrale. Per scoprire il particolare mix tra cultura europea e cultura africana bisogna proprio andarci. Ed è un viaggio assolutamente originale.

Turismo, speranza futura

 roças São Tomé
São Tomé

Il piccolo Stato si chiama Repubblica Democratica di São Tomé e Principe, retaggio del periodo in cui è gravitato nell’orbita dell’ex Unione Sovietica; sono isole tuttora defilate rispetto ai circuiti internazionale del turismo. Quello di massa è ancora ben al di là da venire. Anche se nella capitale São Tomé c’è chi da anni afferma di trovarsi  alla vigilia di un boom turistico. “Siete fortunati voi che siete qui ora, perché entro cinque anni – sostiene un operatore turistico – sull’isola arriveranno migliaia e migliaia di turisti. E niente sarà più come adesso”. Per la verità qualche progetto per realizzare nuovi alberghi esiste, ma la rapidità nel passare dalle parole ai fatti non è per ora la caratteristica più evidente degli amministratori pubblici dell’arcipelago equatoriale. Che tra l’altro hanno ben altro cui pensare, per risolvere i problemi primari dei loro amministrati.

roças Strada principale attraversa un villaggio
Strada principale attraversa un villaggio

Anche se, senza dubbio, il turismo potrebbe essere una chiave per avviare lo sviluppo economico, al momento assolutamente dipendente dalla cooperazione internazionale, soprattutto europea, ma anche asiatica, che qui manda montagne di quattrini e un piccolo esercito di collaboratori diretti e volontari di organizzazioni non governative. Per ora, comunque, ci vengono soprattutto ricchi americani che si danno alla pesca del marlin, ma si fermano in un’appendice dell’isola di Principe e se ne guardano bene dall’andare a São Tomé. Gli altri turisti sono prevalentemente francofoni e portoghesi (gli italiani sono rarissimi).
A São Tomé ci si va per le spiagge, formate da tante piccole e piccolissime baie, ognuna con i suoi colori; oppure per ore e ore di camminate sui sentieri della foresta primaria che qui miracolosamente ancora sopravvive. Comunque sia, i visitatori sono poche centinaia in un anno. E non si corre di certo il rischio di trovare frotte di italiani schiamazzanti, come in certe isole del Mar dei Caraibi o dell’Oceano Indiano.

Quando c’erano i Portoghesi

roças Un cippo segna la linea dell'equatore
Un cippo segna la linea dell’equatore

Nella città capitale São Tomé (lo stesso nome dell’intera isola) per strada ci si sente ancora chiamare: “branco”, “branca” (bianco, bianca) appellativi frutto dei cinque secoli di colonizzazione portoghese, terminata solo una trentina d’anni fa, nel 1975. Una ricca documentazione di quegli anni la si può vedere nel piccolo museo allestito nelle stanze del Forte sulla strada litoranea. In quella costruzione che sembra uscire da un film di bucanieri, con terrazzamenti, feritoie e cannoni puntati verso il mare e la costa (in caso di rivolte) si possono vedere importanti documenti e ricostruzioni con materiale autentico degli anni della colonizzazione, gli abiti degli schiavi e gli strumenti di lavoro nelle piantagioni. Una serie di fotografie illustra la rivolta  del 1953 soffocata nel sangue, dove i portoghesi non ci fanno certo una bella figura. Ma su queste vicende, con unanime consenso, sembra essere stato steso un velo pietoso. E’ una pagina di storia che non si dimentica, ma che non deve influenzare i rapporti attuali, si dice. E poi dove passa la linea dell’equatore – nell’isola das Rolas  – c’è un cippo che lo ricorda. Si deve pensare a ben altro.

Il giorno e la notte, in parti uguali

roças Mercato per la strada
Mercato per la strada

Si deve pensare ai cultori della pesca sportiva, ai camminatori e agli studiosi, che a São Tomé e Principe possono osservare specie animali e vegetali introvabili altrove; c’è chi si appaga del “colore” e degli odori dell’Africa Nera, senza affrontare certi pericolosi viaggi in alcuni Paesi del continente. All’equatore ci si trova in una specie di eterna estate, dove il giorno dura esattamente come la notte. E alle sei di sera comincia il buio. La giornata degli abitanti di São Tomé, dunque, comincia presto, una mezz’ora prima del sorgere del sole. Comunque a svegliare gli abitanti ci pensa uno sterminato esercito di galletti che già attorno alle quattro e mezza alzano i loro chicchiricchì, da una parte all’altra della periferia della città. Per le donne il primo rito della giornata è quello dell’acqua: con vestiti multicolori, con i figli più piccoli legati sulla schiena e con grandi contenitori in testa, raggiungono le fontanelle per strada. Aspettano con pazienza il loro turno e dopo aver meticolosamente lavato e riempito i contenitori d’acqua con passo lento se ne vanno.

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Nel Mercato, la vita

roças Mercato coperto a São Tomé
Mercato coperto a São Tomé

Intanto inizia anche il via-vai di chi si reca al mercato nel centro città. Un edificio dove per tutta la giornata stazionano dentro e fuori centinaia e centinaia di venditori e vi passano migliaia di acquirenti. C’è chi vende un sacchetto di plastica a chi vende qualche pomodoro, qualche cipolla o frutta o verdura. C’è chi con una cassetta legata al collo vende per strada un’infinità di medicinali multicolori; e chi, con una borsa a tracolla, chiede se si vogliono cambiare i soldi occidentali in dobras, la moneta di São Tomé e Principe. Con cento euro si ottengono circa novecentomila dobras.
Appena si entra nel mercato si viene colpiti da un forte odore e vien quasi voglia di uscire rapidamente. Ma ci si abitua presto. In quello scatolone che sembra una fabbrica dismessa, si vende anche il pesce essiccato e fresco. Le venditrici, oltre che vendere, svolgono qui la loro vita: cucinano, mangiano, dormono, allattano i bambini. La merce viene posta per terra o su piccoli sgangherati tavolacci. La cura per la disposizione è quasi maniacale: allineamento e abbinamento dei colori ricordano i dipinti di impressionisti francesi. Si va avanti fino alle cinque e mezza, quando una sirena decreta la fine della giornata commerciale.

Struscio serale e canna da zucchero

roças Lungomare
Lungomare

Allora, come da un formicaio, le venditrici escono dal mercato alimentare e da quello vicino dei vestiti e le strade si animano. Incomincia anche qui il rito dello “struscio”; come nel centro delle nostre città; c’è chi esce per una passeggiata, chi per scambiare quattro chiacchiere, chi per rimediare la cena. Che viene preparata sui marciapiedi delle strade di periferia. E già che la si prepara per sé, con qualche dobras tutti possono favorire. La giornata sta per chiudersi, ma prima c’è tempo per una “canna”. Quella da zucchero, beninteso! Che si mangia rigorosamente per strada, come tutto si fa a São Tomé. E infatti, dopo aver strappato con i denti l’interno morbido lo si succhia; quindi lo si sputa. Certe strade sono letteralmente coperte di filamenti bianchi con i segni dei denti.

Abitare a Saõ Tomé e Principe

roças Casa coloniale a São Tomé
Casa coloniale a São Tomé

Non sono a buon mercato. Costano attorno agli ottomila euro. Una cifra enorme per chi ne guadagna (la maggioranza) meno di cinquanta al mese. Sono le tipiche case degli abitanti di São Tomé e Principe. Fatte in legno, si sostengono su palafitte di modo che la parte sottostante la casa sia utilizzabile per la vita all’aperto: dalla preparazione del cibo alla vita sociale, alla piccola coltivazione di ortaggi, al ricovero degli animali.
Bisogna considerare che soprattutto per quattro mesi l’anno – da ottobre a fine febbraio – c’è la stagione delle piogge. Ma anche durante il resto dell’anno non è che all’equatore non piova. Anzi. L’umidità si misura in bottiglioni. Ed è per questo che le case più resistenti alla fine sono quelle in legno. Fino a quando c’erano i portoghesi le abitazioni in muratura, sia nelle piantagioni (le “roças”) che in città, erano adeguatamente conservate e mantenute. Da quando se ne sono andati, tutto sta andando in malora. I muri sono marci di umidità perché dal tetto sono stati tolti o sono caduti i coppi. La borghesia, che fa soldi con l’importazione o lavorando con imprese straniere (petrolio off-shore) preferisce case in muratura: fa più status. Anche i prezzi ovviamente sono diversi: la media è di quarantamila euro.

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Baracche di legno nei villaggi

roças Camion al posto degli autobus
Camion al posto degli autobus

La vita nei villaggi assomiglia molto a quella della città. Ovviamente cambiano le dimensioni, ma anche lì l’anima è il mercato. Che si tiene sulla strada, l’unica che vi arriva e che l’attraversa. Ai lati, in prima fila, vi sono le piccole baracche di legno dipinte che sono i negozi. Subito dopo vi sono le abitazioni. La strada che collega i villaggi, spesso assai distanti l’uno dall’altro, diventa il “corso” e la passeggiata principale. Non solo per uomini, donne e bambini. Ma anche per maialini,  polli, cani. Tanto che all’arrivo delle poche jeep, tutti si spostano rapidamente, senza protestare per l’imprudenza degli autisti che sfrecciano veloci. Molti villaggi non hanno corrente elettrica e dopo il tramonto diventano ancora più caratteristici con i lumini a petrolio o di olio di palma posti su banchetti ai bordi della strada; mentre nel fitto del bosco, segnalano presenze umane.

L’isola degli schiavi

roças Camion al posto degli autobus
Camion al posto degli autobus

São Tomé e Principe hanno un posto di rilievo nella triste storia dello schiavismo. Anzi, pare che proprio lì sia nata quell’infame pratica. Subito dopo la scoperta dell’isola principale ad opera dei portoghesi nel 1470, si è pensato di utilizzare il fertile terreno che permette di far crescere rapidamente di tutto.
Ma i coloni portoghesi mal sopportavano quel clima tanto favorevole alla vegetazione. Si è quindi passati rapidamente ad utilizzare manodopera nera catturata in continente, anche con l’aiuto dei capi tribù. Successivamente alla scoperta del continente americano, oltre all’utilizzo in proprio degli schiavi, l’isola di São Tomé è diventata un avamposto per il rifornimento di viveri e acqua prima della traversata atlantica.  Dello schiavismo nato a São Tomé ne parlò anche il Concilio di Trento (1545-1563) durante il quale i padri conciliari discussero se fossero da considerare “giuste” le conversioni forzate degli indigeni.

Suore italiane

roças Cattedrale cattolica a São Tomé
Cattedrale cattolica a São Tomé

Con velo svolazzante, sul far della sera gira da sola su un Ciao della Piaggio per le strade del mercato di São Tomé. E’ un’energica e pratica bresciana, che del suo dialetto conserva ancora l’accento. Grande organizzatrice e di polso fermo, vive da ventisette anni a São Tomé. Si chiama Agnese Teotti ed è la responsabile delle suore Canossiane. Una vera e propria istituzione, sia per gli europei sia per le autorità locali. Del resto non potrebbe essere che così, visto che buona parte della classe dirigente ha fatto i primi passi nella scuola delle suore. Cinque religiose, due delle quali italiane,  mandano avanti una scuola materna con quattrocentocinquanta bambini. Corsi di taglio, cucito e ricamo, frequentati da un centinaio di ragazze; una scuola di alfabetizzazione per una cinquantina di  adulti. E poi aule di informatica, di scuola per segretarie: il tutto in un enorme edificio tirato a lucido. Il lavoro delle suore si divide tra questa casa e un’altra di un villaggio vicino. “L’opera di evangelizzazione deve andare di pari passo con quella di aiuto” dice con un grande senso pratico suor Agnese “Tanto è vero che anche quando c’era il regime filosovietico, a noi non è mai stato proibito di praticare e di insegnare la nostra fede. Magari solo con un po’ più di riservatezza. Solo un anno, a Natale, ci era stato chiesto di non fare il presepio. Abbiamo ubbidito: ho preso una bella ragazza nera, l’ho vestita da Madonna, le ho messo un piccolo bimbo nero in braccio; e così  abbiamo fatto un presepio vivente!”.

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In giro per “roças”

roças Bimbi sotto un baobab
Bimbi sotto un baobab

Ce ne sono una ventina nell’isola principale e una decina in quella di Principe. Sono le roças, le fazendas, le tenute, le piantagioni. Una volta, quando c’erano i portoghesi, erano vere e proprie aziende modello. Realizzate in maniera funzionale, ripetevano lo schema rigido del livello sociale. Nella posizione dominante la casa padronale: un grande edificio ben costruito e curato, anche con qualche pretesa dal punto di vista architettonico. Quasi sempre a due piani, con al piano superiore una balconata che girava tutt’attorno alla casa. Poco distante le case degli amministratori e dei tecnici e più lontano le case dei contadini, una volta degli schiavi. Ovviamente il livello gerarchico è ben visibile.
In genere il viale che porta all’abitazione del titolare è ben lastricato, con una tecnica che si ritrova uguale in quasi tutte le roças. Alcune, le più grandi, sono addirittura provviste di una piccola ferrovia che serviva per trasportare il cacao dalle piantagioni alle vasche di fermentazione e infine all’essiccatoio.

La roças più importante dedicata a Agostino Nieto eroe nazionale

Roça Bombaim-foto Joao Maximo
Roça Bombaim-foto Joao Maximo

Ogni roças, o almeno quelle più importanti, avevano un ospedale perfettamente funzionante. Ora si presentano con i muri marci e come “cave” per recuperare materiali edilizi e legna (le porte e le finestre) da ardere. A collegare le varie roças c’era un efficiente sistema di strade e di piste assai ben tenute. Ai due lati, una gittata di cemento armato serviva a contenere il lastricato interno e a fare da barriera alla prepotente vegetazione, favorita da un clima da serra. Sulle strade di collegamento sopravvive ancora qualche scolorito cartello stradale in cemento, che indica i pericoli degli incroci e la velocità suggerita, fissata un tempo in trenta chilometri orari; adesso, ben che vada, si va spesso a passo d’uomo su piste che quando piove diventano veri e propri torrenti d’acqua color terra di Siena. La più grande roças è quella intitolata all’eroe dell’indipendenza angolana Agostino Nieto. Un’altra importante, sempre sull’isola di Sao Tomé, la si trova a Bombaim. Una roças che dà il sapore dell’avventura (non c’è corrente elettrica) è a São João, dove un giovane, Amilcare Almeida Gomes, oltre alla “pousada” (locanda) ha messo insieme un piccolo museo di arte africana.
Sull’isola di Principe, a Belo Monte, vi è una roças  diretta da un mozambicano di origine portoghese, Victor M. Egidio. E’ un ritrovo internazionale, dove la buona cucina, la tranquillità e il dovere dell’ospitalità sono valori sacri. Victor è un personaggio straordinario; alla sua raffinata tavola si sviluppa sempre una gratificante  ed emozionante conversazione multilingue.

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