Pampa Hundida, avamposto di una civiltà remota quanto il ricordo del mare scomparso, è un’oasi nel deserto cileno di Atacama. Una realtà fuori dal tempo e alla fine del mondo, in cui l’unico sconvolgimento è l’invasione dei pellegrini in visita al Santuario per i tre giorni della festa patronale.
Laura Larco nei primi anni ‘70 ha l’incarico di giudice del tribunale di questa piccola città. E’ il più giovane magistrato del Cile di Salvador Allende, animata da ideali di giustizia e determinata a far rispettare la legge. Nel 1973, però, a Pampa Hundida arriva un convoglio di militari e diviene teatro della spietata dittatura militare di Pinochet. Laura è costretta ad andare in esilio a Berlino lasciandosi alle spalle i campi di concentramento e gli echi terribili delle fucilazioni. A spingerla a tornare nella propria terra dopo vent’anni è la figlia Claudia, partita alla scoperta di un Cile a lei sconosciuto, che le lascia una lettera fitta di domande angoscianti e richieste di chiarimento.
“Dov’eri tu, mamma, quando sono successe tutte quelle cose orribili nella tua città?”
Laura allora decide di ritornare in Cile e inizia un doloroso percorso della memoria scrivendo una lunga confessione alla figlia in cui deve affrontare il ricordo del perverso rapporto tra vittima e carnefice che ebbe con il comandante del campo, illudendosi di “fare giustizia” dove nessuna giustizia è più possibile. “Sì, mi sono sentita in colpa per essere stata stuprata; me ne vergognavo. Ma non è tutto…”.
In uno stile crudo e ossessivo, l’autore riapre nelle coscienze dei personaggi le ferite insanabili, per mostrare al lettore, sotto la superficie “desertificata” di un’umanità ambigua, la doppia faccia dell’orrore, nello scenario parossistico di una festa che miscela sacro e pagano, i rituali ancestrali con l’ipocrisia del presente. E Laura, che ha taciuto per vent’anni, è tornata a sconvolgere per sempre una realtà che tutti si illudevano fosse immutabile.