Domenica 13 Aprile 2025 - Anno XXIII

Novara, città con due anime

Novara Il Duomo

Fra Piemonte e Lombardia: lo stesso fiume, le stesse nebbie, l’identico dialetto. Riscopriamola, passeggiando sotto i portici, dominati dal cupolone di San Gaudenzio, lungo i baluardi congestionati dal traffico, nelle piazzette raccolte del centro storico

Il Ticino
Il Ticino

In quel tratto di pianura nel quale segna il confine tra Piemonte e Lombardia, il Ticino, fiume “internazionale” per via delle sue origini svizzere, esprime forse la sua vera essenza padana. Acqua madre, quella del fiume azzurro, fra le acque figlie di canali, rogge, fontanili, risaie.
Acqua che impregna una terra ricca, da sempre alleata dell’uomo e da sempre teatro di avvenimenti storici importanti, di traffici tra le due sponde, di transiti millenari di genti diverse.

Di qua e di là del fiume
Mulino ad acqua sulle rive del Ticino
Mulino ad acqua sulle rive del Ticino

Oggi siamo abituati a passare il confine su mezzi veloci (treni come auto) quasi senza avvedercene. Non che il confine amministrativo sia importante in sé; ma per chi vive a Milano spostarsi a Novara, pur nella certezza di raggiungere una terra che vanta comuni radici storiche e linguistiche, costituisce comunque un “cambio”, un incontro per certi versi differente con una realtà in fondo diversa da quella lombarda e sfacciatamente metropolitana qual è quella milanese.
Per i novaresi, al contrario, raggiungere Milano è come ritornare a visitare la vecchia madre naturale che non si vedeva più dalla tenera età dell’infanzia, quando negli affetti era già subentrata Torino. Come è logico che sia, oggi Novara vuol bene a Torino, che è la madre che l’ha cresciuta, ma guarda sempre con affetto Milano.
Novara, vista con gli occhi disincantati di uno dei tanti figli di questa vecchia madre ambrosiana, si dispiega nei suoi molteplici motivi di interesse architettonico e mette a nudo quest’anima padana, autenticamente “bassaiola”. Un’anima che si vede e non si vede, fluttuante com’è fra le nebbie (le antiche “scighere”) la cui presenza però si avverte sempre, forte e risoluta, riservata e saggia.

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La Novara di Mario Soldati
Mari Soldati
Mari Soldati

Bene l’ha descritta, questa particolare sensazione,  un grande scrittore qual è stato Mario Soldati: “…appena varcata la cerchia dei baluardi sono stato preso dall’incanto dei colori e delle linee, dolcezza e precisione, pace ed energia, come una volta: e addirittura più di una volta, per il contrasto col mondo intorno che frattanto e finora ha progredito verso la confusione, la fiacchezza, la sguaiataggine. Novara, nel chiaro sole della mattina autunnale era, ad attraversarla, un’armonia di grigi e di avorii, di verdi e di bruni e il cortile dov’è lo studio dell’amico dove ero diretto sembrò infine l’angolo perfetto e più profondo di quel porto ideale.  A destra e sinistra, simmetriche, le facciate interne del vecchio stinto casamento, i lunghi ballatoi di ferro, le finestre, gli archi, le scale: e nel fondo, al centro, improvviso sontuoso verde e giallo e come scompigliato dal sole un gran giardino”.
Ecco, nelle parole di Soldati si nasconde forse l’essenza di Novara. Una realtà fatta di vecchie case dignitose e stanche per gli anni che gravano sui tetti e sui coppi, ma nello stesso tempo serene e felici del respiro pacato che le avvolge, con qualsiasi tempo; col sole d’estate, con le foschie autunnali, con le brezze primaverili che scendono scivolando dal Rosa, coi rigori d’inverno che pare nascano da una terra dura e morta, tutt’attorno la città.

Sui vecchi campi, nuovi cementi
Piazza Cavour
Piazza Cavour

Certo, con gli anni, Novara ha cambiato aspetto, si è ingrandita non poco. Interi quartieri hanno invaso i campi della periferia assieme ai nuovi raccordi ferroviari, a nuove strade, alle avveniristiche e per certi aspetti inquietanti tangenziali che sfidano il cielo a scavalcare scampoli di risaie superstiti, a ridosso del capoluogo. Tutto ciò ha modificato il panorama raccolto che un tempo si intuiva dall’alto: una semplice macchia scura (il centro abitato) nel bel mezzo di un mare di verde.
Ma il carattere riservato e raccolto dei novaresi ha fatto di tutto per mantenere – nella realtà quando possibile, nella memoria quando la realtà veniva stravolta – l’incanto delle vecchie case, delle vecchie contrade.

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Un centro storico ancora “paese”

Novara La Cupola di San Gaudenzio
La Cupola di San Gaudenzio

La Novara più caratteristica, ancora ai nostri giorni, è quella dei portici e delle colonne. I vecchi portici della ex piazzetta delle Erbe, nome comune questo a molte piazze di città padane, perché sede del mercato all’aperto della frutta e della verdura. Da quando le auto non l’invadono più, l’ex piazzetta delle Erbe è un vero salotto raccolto nel cuore di Novara e dei novaresi. Da Piazza delle Erbe a Via Ravizza, corrono i vecchi portici dei Mercati d’una volta che continuano sotto il Palazzo del Mercato e, dal lato opposto, con quelli del Duomo dalle altissime colonne.
Spazi che la gente “vive” con intensità e partecipazione; per il passeggio, per gli acquisti, per le proverbiali quattro chiacchiere, rito serale e serioso (pettegolezzi e “fatti” cittadini) comune a tutte le città di provincia. Le colonne, emblema di Novara, si incontrano ancora nel Palazzo Bossi e presso la Cupola di San Gaudenzio, gloria cittadina e capolavoro antonelliano.

Allee alberate, viali alla “francese”
Rievocazione storica della Battaglia dell'Ariotta del 1513
Rievocazione storica della Battaglia dell’Ariotta del 1513

Altro carattere distintivo di Novara, le “allee”, definite da Sandro Bermani (poeta e scrittore) il “terzo incanto” della città.
Costituiscono una vera e propria “corona” di verde attorno alla città vecchia. Viali che la cingono completamente, seguendo in gran parte gli antichi bastioni costruiti durante il periodo della dominazione spagnola. Queste “allee” presentano imponenti file di alberi d’alto fusto; olmi, platani e ippocastani, solleticano e nel contempo proteggono i tetti delle vecchie case affacciate sulle ormai superate circonvallazioni esterne. Scrive Bermani dei novaresi, suoi concittadini: “è gente modesta, un po’ abitudinaria, un po’ chiusa in sé stessa di fronte alle persone che non conosce,  ma pronta a dare il calore dell’amicizia nei confronti di chi ha potuto conoscere e stimare”.

L’omaggio a Novara di Dino Campana
Dino Campana
Dino Campana

Chissà quanti novaresi (e italiani) hanno potuto conoscere e stimare un grande poeta qual è stato Dino Campana, con una poesia del quale – volutamente trascritta in prosa – mi piace concludere questo omaggio a Novara, città piemontese dall’anima lombarda e città lombarda concretamente piemontese.
Campana, toscano di Marradi, dalla vita sfortunata e tormentata dai dubbi della propria mente, descrive Novara (parrebbe di capire) guardandola, intuendola, dalla pianura lombarda; ma potrebbe anche essersi verificato il tragitto inverso: la pianura e, alle spalle, il Monte Rosa, visti e assaporati dai baluardi ombrosi del capoluogo piemontese. Una riprova, se mai occorresse, della “duplicità” fisica e spirituale di Novara. Scrive Campana: “ … la dolce Lombardia con i suoi giardini, il Monte Rosa è un grande macigno; ci corrono le vette a destra e a sinistra, all’infinito, come negli occhi del prigioniero. È grigio il cielo, laggiù si stendono al piano, infinitamente, i pennacchi tremuli delle betulle, come un tabernacolo gotico. Il cielo è pieno di picchi bianchi che corrono, ma la torre di San Gaudenzio instaura un pantheon aereo di archi dorici di marmo. Sugli spalti una solitaria cerca l’amore. L’aspro vino mi ha riconfortato e dal baluardo un azzurro sconfinato posa sulle betulle, pantheon aereo di colonne, sopra un giardino di Lombardia. Settembre solare denso, dove le betulle emergono nel piano. Lontano, il macigno bianco”.

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