Impossibile avere una meta. Per le strade di Siracusa peregrinare è d’obbligo, perdersi, una promessa d’incanto. Eppure, è difficile non essere calamitati da una prima destinazione: Ortigia. La piccola isola che si protende nel mare, agganciata alla città nuova da un esile ponte, ne è il fulcro storico; una lunga mano gentile che trattiene i secoli. Fiera e bianca, sontuosa di architetture cinquecentesche miste ad un liberty distratto, questa perla d’oriente siculo è un luogo di bellezza immaginaria, senza rimandi già conosciuti. Tredici dominazioni, saccheggi e colonizzazioni non hanno saputo ferirla. Ma di questa sorprendete città i siracusani doc parlano con una vena di struggente nostalgia nella voce, come di una splendida donna amata e perduta fra mille rinunce. Il rammarico, fra gli altri, resta quello di una dimenticanza che sembra aver attecchito in Sicilia come nel “continente”: pochi si ricordano di lei come oggetto di riqualificazione profonda, promozione energica e meta di approdo turistico. Dopo averla visitata, sorge il dubbio che la smemoratezza sia figlia di una mala cultura in corso, che oscura meriti e attrazioni del Sud d’Italia.
Varcando Ponte Nuovo
Lasciandosi alle spalle il traffico caotico della Siracusa moderna, dove di spicco sono il teatro greco e l’orecchio di Dionisio, varcare rigorosamente a piedi il Ponte Nuovo che traghetta il visitatore ad Ortigia è un sollievo leggero, quasi inconsapevole. La tensione cala, il passo rallenta, lo sguardo si addolcisce nel mare che, sulla destra, accompagna il cammino lungo tutta l’ampia banchina del Porto Grande. Il brulicare di persone e turisti stranieri per le sue strade, è come un sangue estraneo che pulsa altrove: un fascino silenzioso e sornione, intriso di strane rimembranze, attraversa vicoli, cortili, piazze, angoli solitari e incolti. Ortigia ha occhi segreti, con cui scruta i suoi visitatori, carpendone anima e ricordi. Il viale marittimo che costeggia il porto, è un luogo dove fare salotto è facile e istintivo, prima di incamminarsi verso il centro nevralgico di Ortigia. In compagnia di famiglie, bambini, anziani che si ritrovano sul ciglio del mare, la lentezza del passo può essere condita dall’aspro limone di una delle granatine più buone della città, che d’estate ripagano senza riserve del caldo severo che travolge tutta la Sicilia.
Nel cuore dell’isola
Riparati dalla grande muraglia spagnola di fortificazione sulla sinistra, attraversare la Porta Marina in fondo al viale, significa entrare in un altro piccolo pianeta parallelo. Un gigante secolare, che rimanda a foreste da fiaba con le lunghe dita aggrappate alla terra (un Ficus di proporzioni immense) accoglie nel passeggio Adorno. Lì, sul piccolo camminamento che affaccia sulla placida baia del porto, riecheggiano le battaglie trascorse, ma aleggia anche l’anima di un Caravaggio braccato e in fuga, che a Siracusa soggiornò per breve tempo nei primi del 1600. In verità, il crepuscolo di Ortigia, sembra aver varcato la soglia di una delle sue tele. Ad alleggerire il respiro, fresca e fiabesca c’è l’anticamera della terrazza del belvedere: la Fonte Arethusa, sorgente di acqua dolce a ridosso del groviglio di vicoli che si dipana poco distante. Velata da papiri e palme, fa da rifugio pacifico per anatre e papere, inconsapevoli attrazioni. Gli edifici che vi si affacciano, sembrano assorbire il rosa tenue del sole al tramonto, che invade la terrazza protesa sul mare. Forse è per questo che innamorati e visitatori meditabondi, restano impigliati con l’armonia di un non so che di nostalgico e quieto. A far da guardiano instancabile, sulla punta sinistra del belvedere ed estrema dell’isola, l’imponenza del Castello Maniace (purtroppo chiuso al pubblico); una fortezza di pietra arenaria del XIII° secolo, ultimo baluardo guerresco dell’isola.
Dove è facile perdersi, ritrovandosi…
Piazza del Duomo rende il fiato corto. Larga e mobile, di un’ampiezza che respira, sorge d’improvviso da una ragnatela di vicoli. La sorpresa del suo incanto lascia smemorati sulla soglia del varco principale: la strana forma irregolare non somiglia a nessuna architettura urbanistica vista altrove; il barocco tipico siciliano, qui assume forme imponenti in angoli imprevisti e sghembi: il Palazzo Beneventano del Bosco, quello del Senato e la Chiesa di Santa Lucia a chiudere il lato corto. E poi il Duomo, dalla storia turbolenta e variegata, che affonda le sue radici nel VI secolo a.C., ai tempi delle guerre cartaginesi, con le sue colonne tronfie e magnificamente bianche. Superando la piazza, l’orizzonte si restringe di nuovo su vicoli densi di cortili dove è facile trovare ristorantini e pub. Qui, confondersi è facile, ed auspicabile. Come si confonde il barocco con un liberty letterario, che sembra donare ai suo abitanti un aspetto poeticamente retrò. Vecchi baroni decaduti, ricchi solo della bellezza del tempo.