Abruzzo davvero “forte e gentile”
La tenerezza dei momenti di abbandono disperato, come quello di una vecchia dai capelli bianchissimi che ripeteva angosciata al Presidente del Consiglio “..non ho più niente, più niente, nemmeno la dentiera”, scorre negli occhi con la pacata testimonianza di una vecchietta, riportata alla luce dopo ore e ore sotto le macerie, che insieme alle preghiere aveva trovato la forza di lavorare all’uncinetto.
Oppure la visione, nel suo letto d’ospedale, di una gentile e colta signora che raccontava di buon grado come il cataclisma le avesse, in un turbinio di eterni secondi, distrutto sotto gli occhi il pianoforte, fatto cadere e annientato una lunga teoria di libri, di quadri, di oggetti, risparmiandole fortunatamente la vita. Si capiva, dalle sue parole, come quelle perdite rappresentassero, in fondo, la chiusura definitiva di un irripetibile ciclo della sua esistenza. Ancora commozione, rispetto, partecipazione. Per lei e per i tanti protagonisti e comprimari dignitosi e riservati, ciascuno con la personale morte nel cuore, accomunati da un sentimento più di incredulità che di rabbia; di pudore autentico per il disagio di dover dipendere dagli altri per ogni più minuta esigenza e insieme di composta accettazione di un avvenimento più grande di loro. Rimarrà negli occhi la testimonianza di un gruppo di giovani donne, preoccupate in futuro di avere solo la possibilità di poter lavorare, per ripagare la società del grande sforzo di solidarietà che stava dimostrando. Gente speciale, in tutti i sensi, quella d’Abruzzo.