l favoloso mondo di Tintin (o di Kuifje, per chi parla fiammingo) si potrebbe dire, parafrasando un film di successo. Ma non è solo il “piccolo reporter”, con il cane Milou e il Capitano Haddock, a tenere banco. Sui muri delle case di Bruxelles, capitale d’Europa, ci sono più o meno tutti. Pezzi di infanzia e di giovinezza che scorrono come in un flashback, figure care non solo in Belgio, come Lucky Luke, come i Puffi, come Astérix e Obélix. Molto prima di Second Life, i “dessineurs” ci hanno fatto intuire vite parallele, tirate e deformate nel tempo, nello spazio, nei caratteri.
Un’arte-sintesi, che condensa esperienze precedenti (graffiti preistorici, cicli pittorici, feuilleton a puntate) e che fa compilare a qualcuno una top ten delle “arti” (comprendendo le sette classiche) in cui al nono posto, meraviglia, c’è proprio il fumetto. Tenendo conto che l’ottava arte è la tv e che la decima è l’interattività.
Atmosfere belghe all’insegna del fumetto
Ora, se pensiamo al “Grande Fratello” all’ottavo posto e a “Facebook” al decimo, verrebbe voglia di ritirarsi e di riportare il fumetto nella sua meravigliosa nicchia. Verrebbe voglia. Ma è meglio non farlo, almeno nel Paese di Tex Willer, Valentina, Corto Maltese, Diabolik e Eva Kant, Cocco Bill, Jolanda. Anche perché la “scuola belga” continua a macinare successi, celebrati nel corso del 2009 con l’Anno del Fumetto. Perché i belgi, intesi come autori e come pubblico, siano così affezionati alla bande dessinée, come chiamano il fumetto, è un mistero. Forse quel loro modo di evadere la realtà, alla maniera sublime di Georges Simenon, di Jacques Brel e di René Magritte, peraltro concittadini e contemporanei di molti dei grandi disegnatori, è connaturato alle storie e alle atmosfere brussellesi.
Alle boiserie, ai bistrot fumosi, al calice di kriek, la birra aromatizzata alle ciliegie. A quell’ornato che fa bella mostra sulle facciate di palazzi, alla passione per l’art nouveau, ai canali e agli edifici in mattoni rossi. C’è, insomma, un certo humus nella capitale, meno eclatante, meno gridata, meno osannata di Parigi. Stemperata nella francofonia dall’influenza, dal contraltare fiammingo. È come se i valloni, i belgi brussellesi, che non sono “provincia francese” ma un’autonoma terra a lingua propria, avessero coltivato un loro genius loci, più irriverente e ironico verso sé stessi, rispetto a quello parigino.
La “belgità” di Hergé
La letteratura belga disegnata ha dei “padri nobili”. Immaginatori e disegnatori di straordinari personaggi e atmosfere e mondi. Georges Prosper Remi (1907-1983) in arte Hergé: suoi sono Tintin e Milou e sua è la cosiddetta “linea chiara”, un disegno sintetico, pulito, muove i primi passi in contemporanea con la settima arte, il cinema. Hergé vede nella “bande” un “cinema su carta”, una sequenza di immagini che è simile a quella su pellicola. E così snocciola le avventure di Tintin, il piccolo reporter, nel Paese dei Soviet, in Congo, in America, in Tibet, sulla Luna, un manuale di socio-geografia che dura dal 1930 alla morte, attraversando la guerra e l’occupazione nazista.
Una CNN ante litteram, che ci porta a spasso per il mondo e per le sue interpretazioni, sempre con una leggerezza che la linea chiara assicura. Un ossimoro, una pesante leggerezza, una seria ironia, un’assolvente condanna. Tanto che una mostra degli anni passati titolava: ‘Tintin, Hergé et la belgité’, a fondere l’uomo, il contesto culturale e il personaggio. Basta pensare a quella avventura umana. Nel suo studio ci sono Edgar Pierre Jacob, il padre di Blake e Mortimer, Bob de Moor (Barelli) Roger Leloup (Yoko Tsuno). Intorno, la personalità forte di Raymond Leblanc (partigiano noto, ha difeso Hergé dalle accuse di collaborazionismo) la casa Éditions du Lombard e il giornale ‘Tintin’.
Dai Puffi alla Scuola di Charleroi
E poi, altra esperienza straordinaria, Peyo (Pierre Culliford, 1928-92) inventore degli “uomini blu”. No, non i tuareg, ma bensì, signore e signori, nientedimeno che les Schtroumpfs (Smurfs in inglese, Puffi in italiano, 1959) un fenomeno di costume, addirittura. Gnomi turchini, spiritelli dei boschi, secondo la tradizione nordica, ma organizzati come in un formicaio, metafora della condizione umana. O, almeno, una delle condizioni umane. Il tutto su quella colonna portante del fumetto che è stato il Journal de Spirou (1937, editore Jean Dupuis) dove pubblica anche Jean Roba, con i suoi “Boule et Bill” (1959).
Un fumetto più familiare, racchiuso in quell’universo educativo e di incomprensioni, di abitudini e tic piccolo borghesi che è la famiglia all’europea (o alla belga). Il cane Bill, infatti, si fa capire dagli umani, ma parla la stessa lingua solo con gli altri animali. Parallela, la Scuola di Charleroi, con la “Banda dei Quattro”: Joseph Gillain, detto Jijé, e i suoi Spirou e Fantasio; Maurice de Bevere, detto Morris, con lo straordinario Lucky Luke; Willy Maltaite detto Will (Isabelle) e André Franquin (Gaston Lagaffe). Più Edouard Paape (Luc Orient). Lucky il cowboy (1946, con il film di Terence Hill nel 1991) con la banda Dalton e il suo cavallo alter ego è la risposta belga al mito hollywoodiano del west. Una risposta demenziale, come “demenziale” è il mito. Esagerata, come la descrizione romanzata della “Frontiera”. John Wayne in un film dei Monty Phyton.
Poi ci sono gli autori contemporanei, dal Francis Carin di ‘Victor Sackville’ al François Shuiten di ‘Cités Obscures’, a Dany di ‘Olivier Rameau’, Frank Pé di ‘Broussaille’, Stéphane Colman di ‘Billy the Cat’. E, soprattutto, l’André Taymans di ‘Caroline Baldwin’. Una scuola-tradizione che si rinnova.
Bruxelles, città “disegnata”
In mezzo a tanta creatività, Bruxelles. Dire la “città del fumetto” è un po’ troppo impreciso, un po’ troppo generico. Bisogna precisare, suggerire. Ecco allora da dove partire: dal percorso dei murali del fumetto che, come un grande album open air, illustra l’arte belga. Una specie di galleria fantastica che disegna nuovi scenari urbani, un po’ per l’impatto cromatico, un po’ per quello di arredo urbano non banale, non standard. Infine, per l’aspetto emotivo. I personaggi, per dirla alla napoletana, “so’ piezz’e core”.
Sembra di stare in soffitta, e sfogliare vecchi album. Con tutti i rischi del caso. Per voler restare ad alcuni, più accessibili, a partire da Grand Place, Tintin, l’Affaire Tournesol, di Hergé, in Rue de l’Etuve; Olivier Rameau, di Dany, in Rue du Chêne; Le Jeune Albert, di Yves Chaland, in Rue des Aléxiens 49; Monsieur Jean, di Berbérian e Dupuy, in Rue des Bogards 28; Le Passage, Cités obscures, di François Shuiten, in Rue du Marché au Charbon; Victor Sackville, di Francis Carin e Broussaille, di Frank Pé, in Rue du Marché au Charbon; Isabelle, di Will, in Rue de la Verdure; Astérix, di Goscinny e Uderzo, in Rue de la Buanderie e poi, all’angolo con rue ‘t Kint, Lucky Luke, di Morris; in Place de Ninove 10, Caroline Baldwin, di André Taymans; in Rue d’Ophem 24, Billy the Cat, di Stéphane Colman. Certo, c’è chi ce l’ha e chi no.
Bruxelles capitale del fumetto
La capitale europea può farlo, e lo ha fatto bene. Tanto che il disegno si integra con il paesaggio, lo rimodella, lo completa. Come nel caso di quel Victor Sackville che sembra preso dalla strada e appiccicato al muro; o di quel Jeune Albert che sembra aspettare il tram con noi; o quella casa tutta blu con i personaggi di Caroline Baldwin, che invitano a una notte di jazz. Trentacinque murali giganti, più tre in realizzazione. Più alcune stazioni del metro, come Stokel, 135 metri dedicati a Tintin (schizzi di Hergé) o Porte de Hal (Shuiten).
Dove il fumetto è re
Ma non finisce qui. Ci sono i centri del fumetto. Come il Centre Belge de la Bande Dessinée, che compie nel 2009 i suoi primi vent’anni, ospitato in un bellissimo edificio liberty di Victor Horta. Ci sono tutti, anzi molti, da Lucky Luke a Spirou ai Puffi, più l’Éspace Hergé e sezioni tematiche, dedicate alle diverse anime del fumetto. La Maison de la Bande Dessinée è legata all’esperienza di Jijé e amici, quelli del ‘Journal de Spirou’, disegni, illustrazioni originali, oggetti, interviste filmate. Infine, la Fondazione Raymond Leblanc offre la storia della casa editrice, con disegni originali del giornale ‘Tintin’.
E ci sono i negozi del fumetto, con album, ristampe, libri, poster, gadget, pupazzi, in particolare Nine City, store e museo. E poi La Bulle d’Or, Le Dépôt, Utopia-Gallery, Little Nemo, Het B-Gevaar, tanto per citarne alcuni. Ora, come detto, il 2009 è stato l’Anno del Fumetto. Un modo per celebrare la scuola belga e per ribadire l’importanza di questa arte dal punto di vista comunicativo, culturale, economico.
Un secolo di fumetti
C’è un programma folto, e segnaliamo solo alcuni appuntamenti. Come il 20 ans de Manga en Europe, il rapporto tra fumetto giapponese ed europeo, e l’evoluzione dei manga; Regards croisés de la BD belge, un secolo di fumetti nel lavoro di venti autori belgi “incrociati” con i big mondiali; De Superman au Chat du Rabbin, il fumetto ebreo americano, Superman, Batman, Capitan America e quello europeo; À la recherche du ‘Style Atome’, le generazioni di disegnatori che hanno dato uno stile al fumetto belga; Sexties, Crepax, Cuvelier, Forest, Peellaert, che mette insieme Valentina, Barbarella, Jodelle e Pravda, vale a dire la nascita del fumetto adulto; Bruxelles dans la BD , omaggio alla città dei e nei fumetti. In attesa che il solito Steven Spielberg (con Peter Jackson) faccia una magistrale quadratura del cerchio: per il 2010 è attesa una Trilogia di Tintin, a metà strada tra live action e animazione. Così, il cinema di carta ritorna in pellicola. Anzi, in digitale, per fare pari e patta.
Notizie utili
Ufficio belga per il Turismo Bruxelles-Vallonia, Via Soperga 20, Milano, telefono 02860566, www.belgioturismo.it
Office de Tourisme de Bruxelles, Hôtel de Ville, Grand Place, Bruxelles, telefono 0032.25138940, www.brusselsinternational.be
CBBD, Rue des Sables 20, Bruxelles, telefono 0032.22191980, www.cbbd.be Fondation Raymond Leblanc, av. Paul Henri Spaak 7, Bruxelles, telefono 0032.25207009, www.fondationrleblanc.be