Ormai vecchio (quando non antico) cronista, tendo, come tutti i vecchi, alla ricerca della perfezione (che dicono non esista, ma se la rincorri fai almeno passare il tempo, oltre a dare un senso a “quel che resta del giorno”). Informo pertanto che se dalla cortese aficiòn lettrice sarò considerato un rompiballe, opporrò una richiesta delle attenuanti motivandole con la voglia e il piacere di fare le cose o di vederle fatte estremamente bene.
E vengo alla “serata” di presentazione dei Pirenei Spagnoli a Milano, promossa dai Turismi di Navarra, Aragona, Catalogna. Non senza premettere che a codeste manifestazioni (laddove mi riferisco a quelle dove si mangia) vado ormai raramente, perché la succitata ricerca della perfezione mi porta a incazzarmi facilmente, preciso pure (con indegna prosopopea, boria e presunzione, e me ne scuso) che sulle vicende eno-gastronomiche spagnole “posso dire la mia”.
Mangiar bene in Spagna? “Sont chì mì” (ci sono io!)
Se si parla di gastronomia a sud (appunto) dei Pirenei, posso infatti vantare una milizia ormai più lunga di mezzo secolo. Perché non saprei davvero quante volte, in Spagna, ho “messo i piedi sotto il tavolo”, per non aggiungere che dei centotrenta resoconti di viaggio da me redatti su quel Paese, più di una ventina di articoli hanno avuto come oggetto “cibi & vini”.
E se quanto sopra non bastasse, ho scritto pure una Miniguida “Dove mangiare in Spagna”, riportante più di cinquecento posti, il 90% da me direttamente collaudati e financo un Dizionario Gastronomico spagnolo-italiano e viceversa (innegabilmente utile, eppertanto non interessante chi dovrebbe facilitare le escursioni dei nostri turisti in Spagna); ma lasciamo perdere. Ecco perché “posso dire la mia”.
Cucina spagnola con pasta italiana e zuppa inglese
E datosi per scontato che la cosiddetta eno-gastronomia (e anche qui, breve inciso, rompo le balle: basta con ‘sta parolona, usiamo il termine “cucina”) costituisce una delle principali voci nei “messaggi turistici” di un Paese, un valido “appeal”, richiamo, attrazione, va da sé che se un Paese possiede un filino di eno-gastronomia (pardon: Cucina) è il caso che lo sfrutti. E la Spagna, vivaddio, ben si sa quanta Cucina possiede. Mi era però recentemente accaduto (a me, perfido ricercatore della perfezione!) di constatare che nel presentare il loro Turismo i miei amici spagnoli non sempre usano convenientemente la deliziosa “arma del Buon Mangiare”, caricata di piacevoli sapori e gusti. Un caso, un esempio, un precedente? Alcuni mesi fa nel ristorante di un albergo milanese (pure di proprietà spagnola!) chi si attendeva di degustare qualcosina che conducesse a sapori ispanici, si ritrovò una pasta che più Barilla non si poteva, due fettine di insulsa fesa tipo menu di clinica non della mutua, nonché (e questo no! con quella fine del mondo di dolce che hanno gli spagnoli, leggasi l’eccelso “Tocino de Cielo”!) come “postre”, dessert, la zuppa inglese (oh Yes, Sir….).