Dopo il pirata Morgan, piantagioni di cotone e di cocco
Tenuto conto delle modeste dimensioni delle due isole (San Andrès, ventisette chilometri quadrati, Providencia diciassette, insieme non raggiungono la superficie dell’isola d’Ischia) la popolazione composta dalle due citate immigrazioni e dagli spagnoli che ad esse si aggiunsero, poteva anche bastare. E invece no.
In quelle isole, in precedenza disabitate, i Padri Pellegrini in versione caraibica furono solo gli apripista di una immigrazione che nel suo piccolo raggruppò una sorta di mini Onu. Oltre ai già citati spagnoli e ai “soliti” pirati, corsari, filibustieri e bucanieri di varia provenienza (siamo nei Caraibi, il loro mare per antonomasia, e non c’è isola senza una collina, grotta, scoglio o spiaggia che non porti il nome del mitico e tremendo Morgan) nell’arcipelago confluirono pure alcuni navigatori olandesi più o meno “volanti”, gli schiavi neri dalla vicina Giamaica, la tribù afrocaraibica dei Raizales e financo gli indigeni dalle già citate Isole del Mais. Gli afro-americani furono impiegati come “leñadores” per fornire legna alle navi di passaggio, mentre quelli che Colombo chiamò Indios, perché credeva di essere arrivato in India, a San Andrès venivano destinati alle piantagioni del cotone. Che a fine Ottocento furono sostituite dalla palma da cocco, con il risultato che gli isolani dovettero affrontare problemi di salute e ambientali, l’eccessiva dolcezza della noce, divenuta alimento principale, aumentò il numero dei diabetici e favorì una massiccia riproduzione di golosi topi assai ghiotti del frutto della palma.
Tartarughe per sfamare le ciurme e alcolici per i moderni Yankees
Fino a una ventina di anni fa gli allora cinquemila abitanti di San Andrès (perimetro ventisei chilometri, lunghezza tredici e mezzo, larghezza tre) non facevano fatica a campare, ancorché senza grandi comfort (la luce era erogata solo per due ore giornaliere); vendevano tartarughe alle affamate ciurme delle navi di passaggio e la legna che restava dei tanti boschi di pregiato cedro, senza contare il ricorso al contrabbando (mica facile esercitare controlli dalla lontanissima Colombia). Con il boom del turismo (seguito dall’oggidì debellato traffico di droga, di cui San Andrès costituì un importante punto di distribuzione) la popolazione si moltiplicò per dodici, con il risultato che l’isola può vantare il primato di posto con il maggior incremento demografico nel mondo. E tanta differente umanità non può che incuriosire e intrigare. A San Luis e La Loma, le due “towns” dell’isola, ferve la vita, i traffici abbondano (l’arcipelago è Porto Franco) turisti Yankees e Canadesi – ebbri per le ore trascorse al bar degli alberghi “all inclusive” – passeggiano chiassosamente.
Vita tranquilla, malgrado la “calata” dei turisti
Diversa è però la vita fuori dai centri abitati, i ritmi, le tradizioni e le abitudini restano quelle di altri tempi. Alla faccia dei supermarket non cambia l’alimentazione (cocco, riso, fagioli, pesce) meglio evitare i lavori faticosi (il muratore, il facchino) e meglio ancora non darsi molto da fare (e il clima invita: caldo secco tropicale da marzo ad agosto, poi caldo umido e piogge). E quanto alla “nuova moda” di portare i propri morti al cimitero non è il caso di parlarne, molto meglio seppellirli nel terreno circostante la casa (e se proprio le autorità lo impongono, si porta il caro estinto al cimitero ma dopo pochi giorni si va a riprenderlo e lo si riporta a casa). San Andrès offre pertanto al viaggiatore la possibilità di assistere al contrasto – in un esotico e poco raggiungibile angolo del pianeta – tra un mondo ritenuto scomparso (ne è emblema una vittoriana chiesa anglicana di metà Ottocento) e il “nuovo” rappresentato dal turismo organizzato, lo shopping duty free. Nell’isola una decina di alberghi di una sola catena, la Decameron, ospitano variopinti turisti scaricati dai charter e dai voli di linea in arrivo non solo da Usa e Canada ma pure – oltre ovviamente dalla Colombia – da Costarica, Ecuador e financo Argentina: dalla carne di tartaruga ai surgelati, dai galeoni con bandiera nera decorata da teschio e tibie ai jet pitturati a stelle e strisce. E i “cayos” (isolotti da cartolina postale: l’acqua blu turchese contorna la spiaggia dorata che a sua volta circonda una verde vegetazione sovrastata dalle palme mosse dalla brezza) non accolgono più improbabili tesori nascosti: cambiato il nome in “cays”, vengono invasi da sciamannati gitanti yankees felici coi loro bicchieroni di Piña Colada e Coco Loco (escursione a Johnny Cay, all day, with lunch, 50 US Dollars). (1. continua)