Domenica 24 Novembre 2024 - Anno XXII

Sudan, tra le rovine dei Faraoni Neri

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Il Sudan è un paese che conserva tracce di una storia millenaria. Dimenticato dai potenti della terra. Dimenticato dalle due grandi divinità contrapposte di questo immenso pezzo d’Africa: Dio e Allah. Viaggio nel mitico regno di Kush narrato da Erodoto, dei faraoni neri, di Meroe, della potenza militare dei Nubiani che avevano soggiogato l’Egitto

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Piramidi di Karima (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Il Sudan è un paese dimenticato. Dimenticato dalle due grandi divinità contrapposte di questo immenso pezzo d’Africa: Dio e Allah. Anche i potenti della terra lo hanno abbandonato, pur se conserva le tracce di una storia millenaria. Definito “uno dei grandi nemici degli Stati Uniti”, il Sudan ha veramente poche chances di risollevarsi dalla catastrofica situazione di inerzia politica. Ma anche di caotica stasi e dal distacco culturale in cui i cosiddetti “grandi” del mondo lo hanno confinato. Nel sud di questo stato si combatte una guerra tutta africana, fra poveri.

Il nord bianco, arabo e musulmano vuole imporre la Sharia, la legge coranica, al sud nero, cristiano e animista. Si combatte, a periodi alterni, dal 1962. È la guerra civile più lunga della storia. Lunga come l’elenco sbiadito dei nomi di quei due milioni di sudanesi che hanno gettato la vita in questo scontro. Al nord non si combatte. Il territorio nubiano è unificato da anni e vive sotto l’occhio severo di Allah e la mano protettrice di Fatma. “Allah U Akbar” (Dio è grande) recitano con monotonia i muezzin di Khartoum, lanciando le loro melanconiche melodie religiose sopra Al Jazira, la confluenza tra Nilo Azzurro e Nilo Bianco. I due fiumi si fondono ai piedi della capitale, dando origine al grande, unico Nilo: El Bahr (il mare) come lo chiamano qui.

Sudan: antichi splendori e recenti orrori della capitale 
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Nuri, Piramidi (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Khartoum, la capitale della Repubblica del Sudan, è un caos organizzato. La “deregulation” qui è applicata, da chi governa, in maniera metodica e quasi maniacale. Se si escludono i mercati, dove si respira aria d’Africa vera, molte strade e palazzi sembrano appartenere all’architettura a “blocchi” tipica dell’ex mondo comunista dell’est, prima della “glasnost”. Del recente e affascinante passato in città non è rimasto niente, solo la villa di Gordon Pascià, trasformata in museo.

È una delle rare testimonianze del periodo di colonialismo anglo-egiziano, finito tragicamente nel 1884 con la testa del generale inglese infilzata su una pertica e portata, grondante di vittoria, al Mahdi, il capo spirituale e insieme delle agguerrite milizie irredentiste sudanesi. Khartoum è una città lasciata a vivere il suo tempo attuale, avvolta dalle polveri del vento harmattan che soffia da nord e racconta storie di antiche civiltà perdute.

Sudan: alla ricerca di un passato glorioso
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Karima,Tempio di Hammon (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Erodoto narrò del mitico regno di Kush, dei faraoni neri, di Meroe, della potenza militare dei Nubiani che avevano soggiogato l’Egitto. I faraoni neri costruirono nella loro terra decine di piramidi per celebrare in modo regale e imperituro la morte dei loro sovrani. Le antiche capitali dell’impero Kushita (Napata, Meroe, Karima) sono state inghiottite dai secoli e tra le grandi dune barcane si è diluito e poi perso nel tempo anche il ricordo di quella civiltà.

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Ho ringraziato il Dio Amon Ra, il dio del sole, di essere stato qui. Ho sfiorato con la mano le colonne della Dea Hator e ho sacrilegamente cavalcato uno dei quattro arieti di pietra che fanno una muta guardia alla piana di Karima. Ho ascoltato le voci delle Huri, le meravigliose creature del paradiso musulmano, che muovevano le loro ombre diafane tra le piramidi dei faraoni neri. Ho seguito il corso del Nilo, su a nord, oltre Khartoum e come Chatwin mi sono chiesto: “Che ci faccio io qui ?”. Sono venuto per leggere un libro di storia coperto dalla polvere del deserto, per vedere quello che pochi conoscono e per percorrere le piste del Sudan in cerca della mitica Kush.

Da Khartoum a El Ghaba, nel deserto… 
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Deserto Nubiano (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Tam Tam è l’ultimo avamposto della civiltà moderna, la porta che ci conduce alle mitiche piramidi nubiane. C’è un benzinaio, la gendarmeria che chiede i lasciapassare, la moschea e un negozietto che vende bottiglie polverose di acqua minerale.
Le comodità all’europea finiscono qui, a pochi chilometri da Khartoum, in questa specie di “Fortezza Bastiani” sudanese.
Qui l’orizzonte non ha linea di confine, ma una sottile via di fuga segnata dalla pista irregolare che si apre nel deserto occidentale, il deserto “Libico”.

Un tempo era meta di carovane di cammelli che partivano dal sud, da Dar Fur, per finire la loro corsa in Egitto, attraversando il deserto, l’incudine del sole, passando per questa “via della sete” che gli stessi nubiani temevano, per il grande calore, per la quasi perfetta inospitalità e perché sede del malvagio dio Seth.

… trecentocinquanta chilometri di nulla

Sono rari gli incontri in questa zona aridissima, nella quale solo qualche rara acacia Sajal crea un’ombra esile sulle rocce di arenaria.
Un nomade Kababish percorre a piedi questo paesaggio desolato. Ha con se il figlio, l’asino, una ghirba di pelle di montone piena d’acqua e l’inseparabile coltello Sikkin, legato sotto il braccio sinistro, unica arma contro il vuoto e i pericoli del deserto.

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Gente del deserto (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Sono trecentocinquanta chilometri di “nulla” da Khartoum prima di arrivare al Nilo, a El Ghaba, dove una folla di Fellahin, i contadini del Nilo, attende la piccola chiatta bianca e azzurra che unisce le due sponde del grande fiume dalle acque dense e color ocra. Risik e Mamoun, nelle loro Jellabiye bianche, sfoggiano una dimessa eleganza, con le teste di riccioli neri avvolte nella Imma, il turbante di cotone; hanno un’aria nobile e si fanno fotografare volentieri mentre aspettano il traghetto. Anche qui, sulle sponde del Fiume della Vita qualcuno ha avuto il suo attimo di notorietà, e i due contadini sono fieri che un khawadja, uno straniero bianco, li abbia resi famosi tra la loro gente.

Resti di Chiese Copte e di Piramidi
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Old Ongola, ChiesaCopta (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Sul lato nord del Nilo, sopra la grande ansa del fiume, a Old Dongola, in cima a una collinetta cosparsa di migliaia di cocci di vasellame antico, ci sono i resti di due chiese cristiane. Tra le dune di sabbia spuntano, come in un day-after, le colonne di queste due cattedrali volute dall’imperatrice Teodora di Bisanzio nel 540 d.C. I bei capitelli di granito con le croci copte incise sono abbandonati sulla sabbia, dimenticati da tutti, anche da quel dio che volevano magnificare.

A El Kurru le piramidi sono irrimediabilmente perdute, cumuli mastodontici di pietre ci raccontano di incuranza, di miopia culturale, di mancanza di fondi e di sponsor che potevano salvare quella che un tempo era una necropoli reale che accoglieva le spoglie dei faraoni neri del regno Kushita.

Sudan, gli antichi luoghi dei re di Nubia ed Egitto
El Kurru, Tombe-di-Tantamani
El Kurru, Tombe di Tantamani (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

Qui riposano un sonno dimenticato il grande faraone Piankhi, oltre a Shabaka, Shebitku, Tanutamon, tutti grandi re che governarono Nubia ed Egitto, dei quali rimane solo un nome e una montagna di macerie. Si sono salvate da questo scempio due camere funerarie bellissime, decorate con immagini di divinità: quella del Faraone Piankhy il magnifico, chiamato Neferkara, cioè “per sempre Ra”, ossia faraone del Dio Sole (Ra) e quella della moglie.

A Karima, a nord-est di El Kurru, il tempo, l’uomo e il destino sono stati più magnanimi. Nella grande pianura desertica, delle cinquantotto esistenti, si sono salvate sette piramidi, di cui cinque conservate perfettamente. Non sono mastodontiche come quelle della piana egiziana di Giza – sono alte circa venti metri – e possiedono un’armoniosa leggerezza, una staticità regale che solo i capolavori possono vantare. Resta un mistero a chi fossero dedicate. Tra le piccole piramidi gioca una torma di ragazzini; il passatempo preferito, sicuramente l’unico, è scalare come gatti le ripide pareti di quei muri carichi di storia.

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Il tempio del dio Amon e la necropoli Nuri 
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Sito archeologico Nuri (Ph. Nico Tondini © Mondointasca

La montagna di Jebel El Barkal sovrasta la grande spianata. Ad est di questo monte sacro, sorvegliato da un assopito guardiano, c’è il tempio del dio Amon del quale sono rimaste intatte le due colonne dedicate alla dea Hator (figlia del dio Sole Ra) e quattro possenti arieti in granito. Dagli ultimi scavi e dagli studi eseguiti sembra che gli arieti, come già osservato a Karnak e Luxor, adornassero il viale che portava all’imbarcadero sul Nilo.

Nuri è stata la necropoli dell’antica capitale Napata del regno di Kush. È un sito archeologico imponente, con i resti delle piramidi di cinquantatre regine e di diciannove re. Fu il faraone Taharqa che decise di creare questa nuova necropoli sostituendola ad El Kurru, situata sull’altra sponda del Nilo. Qui il sovrano, detto Nefertem Ra, si fece costruire la più imponente e grande piramide del regno Kushita.

Meroe, il sito archeologico più completo 
Meroe
Meroe (Ph. Nico Tondini © Mondointasca)

I “faraoni neri”, nella loro lungimiranza politica, abolirono tutte le differenze culturali e linguistiche tra Nubia ed Egitto. Si consideravano figli del dio Amon Ra, quindi eredi a tutti gli effetti del potere faraonico egiziano. Per questo motivo furono ricreate le piramidi, come simbolo di unione tra Alto e Basso Egitto e per sancire quel ritorno alle origini anche nelle forme architettoniche.

Tutto questo lo si tocca con mano a Meroe, uno dei siti archeologici più completi del Sudan. Tra le sabbie rosse, quarantaquattro tombe appaiono come un miraggio sfuocato. Le piramidi hanno la stessa grazia elegante di quelle di Karima e di Nuri; piccoli scrigni di pietra arenaria in stato di buona conservazione. Se la vista di questi grandi monumenti sconvolge, fa provare emozioni forti, quasi scioccanti, un dubbio stringe il cuore: perché questi capolavori sono lasciati andare alla deriva in un mare di sabbia? Perché sono abbandonati nel silenzio di una prigione senza confini, alla stregua di un viandante assetato, perduto – senza speranza – nel grande Erg?

Info: www.sudanembassy.it/ 

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