Grazie a un amico scrittore e gastronomo “extremeño” (dell’Estremadura), autore di una vera e propria “Storia della Patata”, posso raccontare le vicende di questo fantastico tubero giunto come un benefico dono dall’America precolombiana. Inizialmente gli europei si mostrarono contrari alla patata, non per ignoranza, bensì per pregiudizi e motivazioni sanitarie e religiose. In primo luogo, pur sapendo di cosa si trattava, la loro cultura alimentare basata sui cereali non ammetteva che si potesse vivere mangiando qualcosa che volgarmente nasceva e si sviluppava sottoterra.
Tubero “erotico” o per sole “sottorazze”?
Per i medici del tempo, poi, la patata era considerata flatulenta. E come se non bastasse l’università di Parigi la respinse perché “attraeva Venere” (proprietà erotica peraltro ribadita da Shakespeare “Che piovano patate dal cielo…”).
Secondo altri, invece, chi consumava la patata si beccava la lebbra. E non mancò chi contestò il tubero per bassi motivi etnico razziali: il britannico William Cobbet, ingegnere agricolo, lo odiava perché “Se gli inglesi si fossero messi a mangiare patate, avrebbero imitato gli irlandesi, le cui abitudini alimentari sono simili a quelle del maiale”. Né importava molto ai suoi detrattori europei, che la patata -quantomeno per chi dovesse quotidianamente riempire lo stomaco, ed erano in tanti – costituisse il più prezioso tesoro arrivato dalle neoscoperte Indie occidentali: secondo i loro pregiudizi un alimento era “inferiore” se sfamava una razza “inferiore”. Ma in America, dove si coltivava la patata, all’arrivo dei Conquistadores? In due zone distinte. In quella chiamata la Sierra del Perù (le Ande) e nel sud del Cile, sotto il fiume Bio Bio, nella Araucaria dei Mapuches, sull’isola di Chiloè e nell’arcipelago de Los Chonos. Terre fredde in cui il Mais, granoturco, non era coltivabile.
Gli Incas inventano la “patata liofilizzata”
E chi ne descrisse per primo la scoperta? Sembra sia stato Gonzalo Jimenes de Quesada che, risalendo il fiume Magdalena, a 7° di latitudine nord, vide “una cosa come tartufi dal buon sapore…”. Accadeva nel 1537, nella pianura di Bogotà, e la patata era chiamata Ionza o Iomuy. Nove anni dopo un “Cabildo” disciplina la semina di ortaggi, tra i quali elenca la “Papa”; identico nome usato da Pedro di Valdivia per descrivere la patata all’imperatore Carlo V. Cieza de Leòn, nella sua “Cronaca del Perù”, segnala la coltivazione della patata a Popayan in Colombia, imitato da una pletora di “inviati speciali” dalla Spagna nel Nuevo Mundo a raccontare come campavano gli Indios da poco soggiogati.
Nei documentati “Comentarios Reales” Garcilaso de la Vega (figlio di un Conquistador e di una principessa india) informa su come gli Incas ottenevano il (tuttora chiamato) Chuño, patata liofilizzata ante litteram mediante un semplice processo di conservazione, comportante il disseccamento solare al freddo con aggiunta di sale.
Tra il Cinquecento e il Seicento, la “papa” conquista l’Europa
E mentre in Europa la patata tardava ad affermarsi, nel sud America continuava a costituire il principale sostentamento. Nelle lingue Aymarà e Quechua, ben 209 parole sono collegate alla Papa (nome più comune tra gli Incas, e quindi adottato dagli spagnoli).
Gli inglesi sostennero che le patate in Europa furono portate dal famoso corsaro Drake e da Sir Walter Raleigh. Ma sbagliano. Drake impiegò due anni per tornare in Inghilterra dall’isola di Mocha, di fronte al Cile, dove avrebbe anche potuto caricare patate: si dà però il fatto che un tubero non resiste tanto tempo all’aria. Mentre Raleigh non raggiunse mai terre in cui la patata era coltivata. Tant’è che nell’Europa non spagnola, la prima classificazione della patata avvenne ad opera dello svizzero Gaspat Bahuin, che nel 1621 la battezzò “Papas Hispanorum” (a dimostrazione che il tubero gli era stato portato dalla Spagna dove era giunto, si dice nel 1570, a Siviglia). Quanto alla prima citazione scritta della patata, sempre in Spagna, si suppone che sia dovuta nientemeno che a Santa Teresa, che il 10 dicembre del 1577 ringraziò la superiora del Carmen di Siviglia per il regalo di un tubero. Che lentamente cominciò a espandersi in Europa. Dall’Irlanda (laddove a metà dell’Ottocento una malattia della patata generò tale fame e miseria da costringere a emigrare gran parte della popolazione) alla Germania, e più in là, in lontane terre del Vecchio Continente in cui trovò ottimali condizioni ambientali per la coltivazione.
Si chiude il cerchio: dalla cucina di Parmentier ai McDonald
L’epoca d’oro di quell’alimento il cui nome avrebbe contrassegnato un popolo mica da poco (Kartoffeln è sinonimo di tedesco) è databile all’ultimo terzo del XVIII secolo. E infatti nel 1783, portata dai russi in Alaska, la patata completò il giro del mondo cominciato poco più di due secoli prima. Ancora due anni e l’umile frutto delle fredde terre andine sarebbe finito a corte, grazie al farmacista francese Antoine Augustus Parmentier (il suo nome figura tuttora sui menu dei ristoranti di tutto il mondo) che stuzzicò i palati di Luigi XVI e della sofisticata Maria Antonietta. Quanta strada, via Versailles: dagli Incas ai McDonald! Una storia davvero gloriosa (non si dimentichi che in assenza degli ex sovietici Blinis, il divino caviale può essere gustato alla grande anche su un letto-fetta di umile patata bollita) dal finale però meno nobile per via di quel moderno, consumistico modo di friggere (non solo da McDonald). (18/02/2010)