“Tutto considerato, al mondo ci sono solo due tipi di uomini: quelli che stanno a casa e quelli che non ci stanno“. (Joseph Rudyard Kipling)
Lo spazio, prima del neolitico, era del tutto privo di quei segni che cominciarono a solcare la superficie della Terra con l’agricoltura e gli insediamenti. L’unica architettura che attraversava il mondo paleolitico era il percorso, il primo segno antropico capace di insinuare un ordine artificiale nei territori del caos naturale.
Lo spazio, che era per l’uomo primitivo una spazio empatico, vissuto e animato da presenze magiche, ha cominciato a trovare nel paleolitico i primi elementi di ordine.
I bisogni e i segni dell’Uomo
Quello che doveva essere uno spazio irrazionale e casuale basato sulla concretezza dell’esperienza materiale ha cominciato lentamente a trasformarsi in spazio razionale e geometrico generato dall’astrazione del pensiero.
Si è passati da un uso meramente utilitaristico legato alla sola sopravvivenza alimentare a una attribuzione di significati mistici e sacri allo spazio fisico, riempiendo il vuoto circostante con dei “pieni” che servivano a orientarsi.
Alla fine del paleolitico dunque il paesaggio decifrato dall’uomo era probabilmente come quello del “walkabout” aborigeno: uno spazio costruito dai vettori del percorso erratico, una serie di elementi geografici collegati a eventi mitici e montati in sequenza.
In generale non è quindi corretto parlare di nomadismo prima della rivoluzione neolitica del VII millennio a.C., essendo il nomadismo e l’insediamento entrambi legati al nuovo utilizzo produttivo della terra cominciato con il cambiamento climatico seguito all’ultima glaciazione. Da questa rivoluzione del tempo e dello spazio, nascono nel neolitico sia il percorso sedentario sia quello nomade che derivano entrambi dal mondo erratico paleolitico.
In Abele e Caino i destini dell’Umanità
Per utilizzare nuovamente i miti per meglio comprendere la storia, possiamo rifarci a quello di Abele e Caino. Come si legge nella Genesi, a una prima divisione sessuale dell’umanità – Adamo ed Eva – segue, nella seconda generazione, una divisione del lavoro e quindi dello spazio. I figli di Adamo ed Eva incarnano le due anime in cui fu divisa fin dal principio la stirpe umana: Caino l’anima sedentaria e Abele quella nomade.
Per volere di Dio, Caino si sarebbe dedicato all’agricoltura e Abele alla pastorizia. Adamo ed Eva lasciarono così ai loro figli un’equa spartizione del mondo: a Caino la proprietà di tutta la terra e ad Abele quella di tutti gli esseri viventi. Ma in seguito a una lite, Caino uccise Abele; per il peccato fratricida, fu condannato alla condizione di eterno vagabondo, con una punizione che sa di contrappasso: “Se coltiverai la terra, essa non ti darà più il suo prodotto e tu sarai errante e fuggiasco nella terra”, proclamò il Signore.
Come ci ricorda Chatwin in alcuni dei suoi appunti: “I nomi dei fratelli sono una coppia di opposti complementari. “Abele” deriva dall’ebraico hebel, cioè “fiato” o “vapore”: ogni cosa animata, che si muova e che sia transeunte, compresa la sua vita. La radice di “Caino” sembra sia il verbo kanah: “acquisire”, “ottenere”, “possedere”, e quindi “governare” o “soggiogare” “.
La punizione di Caino, obbligato a nomadismo e stanzialità
Ma è interessante notare come, dopo l’omicidio, Caino sarà punito da Dio con il vagabondaggio. E qui il mito diventa rivelatore: infatti, in seguito alla morte di Abele sarà proprio la stirpe di Caino a costruire le prime città.
Caino, quindi, porta con sé, nella sua erranza, sia le origini sedentarie dell’agricoltura che quelle nomadi di Abele, dando vita alle due concezioni di spazio antitetiche che tutt’oggi continuano a esistere e che Francesco Careri sintetizza così nel suo Walkscapes: “Le due grandi famiglie in cui è suddiviso il genere umano vivono due diverse spazialità: quella della caverna e dell’aratro che scava nelle viscere della terra il proprio spazio e quella della tenda che si sposta sulla superficie terrestre senza incidervi tracce persistenti. […]
La città nomade è il percorso stesso, il segno più stabile all’interno del vuoto, e la forma di questa città è la linea sinuosa disegnata dal susseguirsi dei punti in movimento. I punti di partenza e di arrivo hanno un interesse relativo, mentre lo spazio intermedio è lo spazio dell’andare, l’essenza stessa del nomadismo, il luogo in cui si celebra quotidianamente il rito dell’eterna erranza. Come il percorso sedentario struttura e dà vita alla città, il nomadismo assume il percorso come il luogo simbolico in cui si svolge la vita della comunità”.
Caino “stakanovista”, Abele “bamboccione”?
Seguendo la narrazione di Abele e Caino, Caino è quindi identificabile con l’homo faber, l’uomo che lavora e che assoggetta la natura per costruire materialmente un nuovo universo artificiale, mentre Abele potrebbe essere considerato l’homo ludens, l’uomo che gioca e che costruisce un effimero sistema di relazioni tra la natura e la vita.
Al differente uso dello spazio corrisponde anche un differente uso del tempo che deriva dalla primitiva divisione del lavoro. Mentre la maggior parte del tempo di Caino è dedicato al lavoro, ed è quindi interamente un tempo utile-produttivo, Abele ha una grande quantità di tempo libero da dedicare alla speculazione intellettuale, all’esplorazione della terra, all’avventura e quindi al gioco, il tempo non utilitaristico per eccellenza.
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