Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

Il camminare urbano

Muoversi in città. Il primo passo per diventare pienamente cittadini, alternando momenti di incontro alla solitudine tipica della vita metropolitana. Un “lusso” recente, se pensiamo ai pericoli che si potevano incontrare in strada fino a non molto tempo fa

Il camminare urbano

Camminavamo e camminavamo, eppure succedeva sempre qualcosa di nuovo” (Harriet Lane Levy)

 

Camminare in città non è come camminare in mezzo alla natura.

Certo, la storia del camminare rurale, come quella del camminare urbano, riguarda la libertà e la ricerca del piacere; ma mentre il camminare rurale ha trovato il suo imperativo etico nell’amore per la natura, che gli ha consentito di difendere e di aprire la campagna, il camminare urbano è sempre stato un’attività ambigua, trasformandosi facilmente in adescamento, in andare per vetrine, in sommossa, in protesta, in agguato, in vagabondaggio e in altre attività che, anche se piacevoli, non hanno quasi mai l’accento altamente morale dell’apprezzamento della natura. Certamente camminare in città è un atto spontaneo quanto il mangiare e il dormire. Il camminare è soltanto l’inizio dell’essere cittadini; ma camminando, il cittadino conosce la propria città e i propri concittadini e abita realmente la città e non soltanto una piccola porzione privatizzata di essa. Camminare per le vie è ciò che connette il microcosmo individuale con il macrocosmo pubblico; è un’azione essenziale per far parte della società.

Dalla solitudine, il carattere

Umberto Boccioni,
Umberto Boccioni, “La città che sale”, 1910-11. Museum of Modern Art, New York

Questa identità non ufficializzata, con le sue opportunità illimitate, è uno dei pregi tipici della vita urbana, una condizione liberatoria per tutti quelli che vengono in città per emanciparsi dalla famiglia e dalle aspettative della comunità, per sperimentare sottocultura e identità. È la condizione dell’osservatore freddo e distaccato e con i sensi acuiti, la condizione ottimale per chi abbia bisogno di riflettere o di creare.

(26/04/10)

Camminare in città: una vera impresa, sino all’altro ieri

Carrozze e pedoni in questa foto ottocentesca
Carrozze e pedoni in questa foto ottocentesca

Prima del XVIII secolo pochi andavano a piedi per le strade per puro piacere e solo nel XIX si cominciano a vedere posti puliti, sicuri e illuminati come nelle città moderne. Tutto l’arredo urbano e i codici che danno ordine alle strade moderne – marciapiedi rialzati, lampioni, targhe stradali, numeri civici, codici della strada e segnaletica – sono innovazioni relativamente recenti. Nel Settecento viaggiare per la città era pericoloso quanto viaggiare per le campagne: le strade erano piene di rifiuti solidi e liquidi, molte attività produttive erano sudice, l’aria era già inquinata, l’alcolismo aveva portato la devastazione tra i poveri delle città e le strade erano infestate dal sottoproletariato criminale e dalle anime disperate. Le carrozze investivano e storpiavano impunemente i pedoni, i mendicanti assediavano i passanti e i venditori ambulanti inneggiavano alle loro merci.

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Il camminare urbano era considerata una vera e propria “arte”: l’arte di proteggersi dagli schizzi, dalle aggressioni e dagli affronti. Fino al XX secolo le donne camminavano di rado per la città per puro piacere. Le uniche donne che stavano per strada erano le prostitute che non ci hanno lasciato quasi alcuna testimonianza delle loro esperienze. Infatti, l’ambiente urbano della prostituzione è la passeggiata. Sulla passeggiata la prostituta va avanti e indietro per attirare o sollecitare i clienti, per ammazzare la noia, per tenersi calda e per farsi notare il meno possibile dalla polizia. Le strade erano già il posto di chi non aveva un posto.

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