
Ebbene sì, lo confesso: i “Viaggi & Sport”, le trasferte in occasione delle grandi manifestazioni sportive (non solo footbalistiche) e/o di avvenimenti coinvolgenti squadre e campioni italiani, li ho inventati io. Non ci credete? Le note che seguono sono un piccolo trattato di “Invenzione e storia del Turismo Sportivo”.
Gite più o meno lunghe (una, tennistica, arrivò alle lontane Isole Figi) per assistere e godere ciò che gli americani chiamano “spectator sport”, lo “sport visto”, però “on the spot”, sul posto (da cui una bella differenza tra lo sportman che oltre a un match o un Grand Prix vede anche il mondo e lo “sportivo da sofà”, chiuso in casa a ingozzarsi di drinks e patatine davanti al video).
Anni Settanta: prendono piede i primi viaggi

Ma fui baciato anche da una sostanziosa dose di fortuna. Perché per creare trasferte di questo tipo, occorrono due decisive componenti: i soldi di chi “va in giro per sport” e (salvo il Calcio) il “campione”, la squadra vincente di uno dei cosiddetti sport minori – e in Italia lo sono tutti indistintamente – perché se manca il “crack”, il personaggio, non c’è sport che non finisca nell’oblio. E datosi che mi riferisco ai primi anni Settanta, fortunatamente non mancavano né i soldi – si era in pieno boom economico – né i campioni di tanti sport. E mediti il lettore su questa coincidenza, che a prima vista può sembrare strana ma strana non è, perché quando un Paese eccelle, hanno successo anche le vicende diverse e marginali, tale è lo sport, di quel Paese: la recente fioritura della Spagna (vedi Calcio, Tennis, Basket) docet.
Da Atene a Rotterdam, al seguito del “dio pallone”

Per trovare i biglietti di quel mitico match (e alla fine, eureka!, ne sommai ben 2412, un record nella storia delle trasferte sportive) assediai per tre giorni i locali in cui venivano assegnati, col risultato che per lungo tempo mi capitò di svegliarmi nel cuore della notte recitando tre parole che non riuscivo a togliermi dalla testa: Ellenikì Podosferikì Omospondèia (Federazione Calcio Greca). Ma se si parla di record, posso anche vantarmi di essere stato il primo “charterizzatore” di un Jumbo in occasione di un viaggio sportivo. Era il 31 maggio 1972, a Rotterdam, finale di Coppa dei Campioni, e lì, ahimè, non solo l’Inter le beccò dall’Ajax, ma si ruppe pure il 747 che doveva riportarci a Milano, tant’è che i tifosi nerazzurri, nonostante l’identità religiosa che ci legava, tentarono di linciarmi a ombrellate ritenendosi vittime di una truffa (e invece quel bestione di aereo si era rotto davvero, a Istanbul).