“Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza.” Tertulliano
Nel suo saggio del 1930 Passeggiando per le strade di Londra, Virginia Woolf descriveva l’anonimato come una cosa bella e desiderabile; raccontando di quando uscì per comprare una matita in una sera d’inverno, scrisse uno dei saggi più importanti sul camminare urbano: “Non appena usciamo di casa, una bella sera, fra le quattro e le sei ci togliamo di dosso la consueta personalità, la sola che i nostri amici conoscano, per diventare membri di qual vasto esercito repubblicano di anonimi pedoni, la cui compagnia è così piacevole dopo la solitudine della propria stanza”.
La libertà di passeggiare, un lusso tutto maschile
Ma è da considerare che quegli anni erano già “tempi moderni” per il camminare femminile. Le donne sono uno dei soggetti di cui non si può prescindere di parlare quando si affronta il tema del camminare urbano. Tutti i protagonisti della storia del camminare che abbiamo incontrato fino a ora sono stati uomini, e non è un caso. Fino ai primi decenni del XX secolo per le donne camminare per le strade della città è sempre stato un tabù. Le donne sono state di norma punite e intimidite per aver azzardato la più semplice delle libertà, quella di concedersi una passeggiata poiché, nella società preoccupata di tenere sotto controllo la sessualità femminile, le loro passeggiate erano continuamente e inevitabilmente tradotte nella sfera sessuale. Camminare da sole in città era sinonimo dell’essere prostituta. Inoltre, la minaccia di possibili molestie sessuali o di stupro hanno contribuito a limitare le possibilità della donna di camminare.
Penelope che aspetta. Nell’intimità della propria casa
Lo stesso linguaggio non manca di parole e frasi che sessualizzano l’atto del camminare quando è riferito al genere femminile. Tra i termini che definiscono la prostituta troviamo passeggiatrice, donna di strada, mondana, donna pubblica, definizioni che, ovviamente, se riferite al genere maschile, hanno ben altri significati. Metafora esplicita di questa concezione è l’Odissea di Omero. Ulisse percorre il mondo e va a letto con ogni donna che lo attragga. Penelope, sua moglie, rimane a casa e tiene a bada i pretendenti.
La donna “privata” e lo spazio pubblico
Il controllo della sessualità femminile quindi passa per la regolamentazione dello spazio pubblico e privato. E per conservare la donna “privata”, o sessualmente accessibile a un solo uomo, l’intera vita femminile doveva essere consegnata allo spazio privato della casa.
Il XIX secolo ci trasmette l’immagine di donne che sono compromesse dal solo fatto di trovarsi fuori casa senza uno scopo specifico. Per questo motivo la donna legittimava la propria presenza nella strade facendo acquisti e per lungo tempo i negozi si sono offerti come un’oasi semipubblica e sicura in cui le donne potevano vagabondare in tranquillità.
Storia di una “onesta” passeggiatrice
Un esempio della retorica pedestre maschilista che vigeva fino all’alba del secolo scorso è la storia di Caroline Wyburgh. Nel 1870, quando aveva diciannove anni, Caroline uscì a passeggiare con un marinaio a Chatham, in Inghilterra, e per questo fu arrestata. Infatti, il solo fatto di passeggiare nell’ora o nel posto sbagliato poteva rendere una donna sospettata di prostituzione e per questo arrestata. Inoltre, se quest’ultima si rifiutava di sottoporsi a visita medica, poteva essere condannata a diversi mesi di prigione. Caroline si rifiutò per quattro giorni, ma al quinto giorno accettò. Legata con una camicia di forza venne portata nell’ambulatorio e posta sul lettino con le gambe divaricate. Posta a questa umiliazione ebbe un sussulto di rifiuto che la fece cadere dal lettino mentre gli strumenti d’ispezione la deflorarono. Il medico guardando la paziente a terra, col sangue che le scorreva tra le gambe, la guardò e, ridendo, ammise che la polizia si era sbagliata e che era realmente una “onesta passeggiatrice”.