Una trasferta da “Smith & Wesson”…
Accadde che sulla infinita spiaggia atlantica dalla durissima superficie di sabbia (su questa inconsueta pista si correvano i GP di auto e moto prima della creazione del circuito) si poteva, sì, guidare, ma a una velocità non superiore alle 10 miglia. Ma il barbino piacere della trasgressione o forse qualche birra di troppo, fecero sì che fui cuccato mentre di miglia orarie ne superavo 40. E datosi che il policeman mi invitò a seguirlo alla stazione di polizia e io feci il dritto tentando di scappare dalla parte opposta, eccomi sotto il tiro di una Smith & Wesson, perquisito con le mani ben stese sul cofano dell’auto eppoi invitato a trascorrere la nottata ospite del locale carcere. Negli States non si scherza, nel senso che colà con i pirla non scherzano (e fanno bene).
Motori per motori, ovviamente organizzai gite pure per i GP di F1 (già accennai ai commenti inviati a un quotidiano sportivo dal circuito di Fuji). Ma appetto alla cameratesca atmosfera, tutti amici e pari grado, corridori, addetti ai lavori e aficiòn, del “mundillo” del motociclismo, vuoi mettere, la F1 scadeva per la presenza di tanta gente, o forse tutti, con la puzzetta sotto il naso. Non parliamo poi della Ferrari (non per niente tifavo per la romagnola Minardi, anche se di soddisfazioni ne arrivarono poco o niente), una sorta di “casta” braminica con tanti soldi da spendere da potersi permettere di bloccare interi aerei (e i paria in fondo alla coda).
Piccole astuzie da cronista
Più culturalmente, in tema di esperienze giornalistiche, oltre ai già citati servizi di tennis e F1, posso citare un aneddoto vissuto a Wimbledon, storico e mitico Tempio del tennis con i Championships delle “fragole alla panna” (e i birilli di champagne). In uno dei primi anni Settanta, nonostante scrivessi per una decaduta rivista di tennis che ormai tirava si e no una decina di copie (l’occorrente da mandare agli inserzionisti, come giustificativi da allegare alla fattura della pubblicità) ero riuscito a ottenere un accredito (lo conservo tuttora) dal capo ufficio stampa che più cerbero di così non si poteva. Tanto duro e intransigente da non concedere nemmeno un pass giornaliero all’inviato del più importante quotidiano italiano (“What is Corriere della Sera?” rispondeva negando e ringhiando al mio amico richiedente il prezioso Badge). Il bello è che, nonostante la precarietà preagonica della testata che mi accreditava, riuscii a ottenere il pass per il Center e gli altri deliziosi Courts (a quei tempi spuntava ancora qualche filo d’erba) anche negli anni che seguirono, mediante un furbo accorgimento ignorato dall’inviato del Corriere. Scoperto – e non ci voleva molto, bastava scrutarne il naso rubizzo – che il cerbero era un gran bel “ciucatè” (altri direbbero alcolista) io lo affrontavo con il precario tesserino stampa in una mano e una bottiglia di whisky nell’altra: a quel punto l’affare era fatto.
Viaggi Sportivi, i miei? Beh sì, ma lardellati anche da tante vicende e fatterelli politici, capitati nei più svariati angoli del mondo.
A Lisbona (1967, cinque ore di volo, andata e ritorno in giornata, su un DC7 turboelica, cattiva pressurizzazione, caviglie molto gonfiate dopo aver tolto le scarpe, tre giorni in giro a piedi nudi) finale di Coppa dei Campioni, ahimè tragedia nerazzurra causa sconfitta per colpa del Celtic di Glasgow e incontro con Umberto, ex Re d’Italia, nella sua villa di Cascais. Il sovrano ci offre pure da bere ma ci confonde con i ricchi di un viaggio di più notti, organizzato dalla concorrenza e ci chiede dove alloggiamo, al che io gli urlo “sul pullman, Maestà!”. Lui ci rimane male (ma forse, erano solo le 11, eppure era già alticcio) mi gira le spalle e io ritiro la delegazione (gli aficionados dell’Inter Club Novara) talché nella foto ricordo (di tanti suoi ex sudditi, magari anche di sinistra ma vogliosi di essere immortalati fianco all’ “odiato” Savoia) appare un buco prodotto dalla mia rivolta alla monarchia assoluta.
Viaggi “al galoppo” con i campioni a quattrozampe
Già, i Viaggi Sportivi, da me inventati un po’ per campare (se fai solo poeta a fine giornata ti ritrovi con lo stomaco allungato dalla fame) un po’ per caso e molto per hobby. E se mai qualche viaggiatore insoddisfatto mi avesse suggerito di darmi all’ippica, organizzai pure le trasferte “a vedere le corse dei cavalli”. Quasi quasi stavo per fidanzarmi con Tornese, eroe trottatore, baciato con grande trasporto (ma ci avevo messo su metà dei guadagni della gita) dopo una sua vittoria al Criterium de Vitesse a Cagnes sur Mer. E sempre in Francia, che bello tirar su una balda comitiva di appassionati, l’ultima domenica di gennaio e andare al parigino Grand Prix d’Amerique a Vincennes. Quanto al galoppo, più snob dire Turf, impossibilitato a sfruttare, per motivi anagrafici, la popolarità del mitico Ribot, mi rifeci trasportando ippofili (meglio dire ippomani e meglio ancora definirli tremendi scommettitori, che giravano con pacchi di soldi grandi così) fino alla Royal Ascot a “veder correre” Sirlad (un fenomeno, nel vero senso della parola, in quanto assolutamente atipico) del galoppo italiano.