Agnolotti ad Alagna
E pochi anni dopo trascorsi ad Alagna un Capodanno da sballo: già allegrotto nel primo pomeriggio secondo la nota formula NSC – no stop ciucc –, nella cucina dell’ “albergo bene” di Alagna feci da palo mentre un altrettanto dissetato, anziano conoscente – il Pierette della dinastia Grober, storica famiglia tessile locale – passeggiando sui tavoli della dispensa provvedeva alla pedestre distruzione di tutti gli agnolotti destinati al Cenone al grido di “Abbasso l’onorevole impostore” (con chiara allusione al sindacalista Giulio Pastore – evidentemente non amato dal mè amìs Grober per vicende lavorative o soloperchéantipatico – che partito dalla natia Valsesia divenne a Roma importante lìder del sindacato diccì).
Sul Rosa in “scarp de tenis”
Parto quindi per Romagnano Sesia, non tanto per deferenza se non obbedienza nei confronti del Capo e nemmeno per motivi gastropalatali (ancorché sappia da precedenti indagini che le manifestazioni di Slow Food non si concludono al Burghy o al McDonald’s). Mi reco nel nord del novarese (laddove solitamente mi spingo soltanto per acquistarvi il Gorgonzola, da un bravo produttore di Castellazzo) soprattutto perché attratto dalla possibilità di un Flash Back in un passato lontano e piacevole, come lo sono tutti i ricordi di gioventù. Un Amarcord lungo un asse ideale che si diparte dalle (in autunno) dorate risaie appena fuori Novara e attraverso la partigiana Valsesia culmina sul Monte Rosa. Montagna da me conquistata in occasione dell’inaugurazione della ristrutturata Capanna Margherita, 4500 e passa metri; un’impresa non impossibile nemmeno per i paralitici, se non fosse che io – non tempestivamente avvertito sull’abbigliamento necessario per la scarpinata – la compii in ‘scarp de tenis’.
E più sotto, tra i tognini Walser, ad Alagna (appunto Valsesia) vissi, dodicenne, la mia prima ciucca (un fiasco di Barbera ‘inaffiante’, così almeno si diceva un tempo, una ben agliata Bagna Cauda; morale: lavanda gastrica e tre giorni di prognosi, così piccolo).
Una grappa da “inginocchiatoio”
E così brindo (con un buon Nebbiolo, finalmente rosso, mentre una precedente versione rosè non m’aveva, almeno visivamente, convinto) insieme a Gianni (ça va sans dire, Brugo) che a Romagnano si considera una sorta di extracomunitario solo perché vive a Gattinara (lontana un tiro di schioppo, ma da sempre insisto nell’affermare che la grandeur del Belpaese consiste nell’esasperato campanilismo –ma proprio per questo aguzzante l’ingegno – mutuato dall’Italia dei Comuni). Prende poi la parola Carlo (occorre forse precisare Brugo?) che mi intriga informando che sta per uscire una Grappa che, da quanto ho capito, potrebbe definirsi “da inginocchiatoio”. Attendo fidente. Non tanto per non tediare proseguendo con l’elenco dei Brugo, quanto per l’importanza di ciò che ho ascoltato, informo poi che Alfredo Papale ha infiorato il meeting di Slow Food con una dotta conferenza sulla storia della Cucina (massimo il mio entusiasmo quando ha citato il gaditano Columella, un andaluso che, chissà, fu forse l’inventore del saporito Gazpacho – almeno lasciatemelo credere -).
Da Romagnano (Sesia) ho concluso, a te Formignani.
(21/10/10)