Ancora fino al 30 gennaio, i milanesi che abbiano voglia di sconfinare da atmosfere cittadine, luminarie natalizie e stili europei hanno una possibile via di fuga, di un’ora e mezza circa. Tanto potrebbe durare una visita alla mostra “Arte della civiltà islamica“, aperta a palazzo Reale, un’antologica di 350 pezzi dalla collezione kuwaitiana dello sceicco Nasser Sabah Ahmed al–Sabah e sua moglie.
La storia della raccolta è di per sé un’avventura, i reperti vanno dal VII al XVII secolo ricordando gli sviluppi dell’arte islamica in ceramiche, gioielli, miniature, tessuti, sculture. Il viaggio in una cultura antica, tuttora lontana dallo spirito del vecchio continente, attraversa i paesi dell’Africa settentrionale, il Medio Oriente, ma si spinge sino a India, Afghanistan, Asia centrale. La scelta dei reperti, curata da Giovanni Curatola, è stata effettuata da un corpus imponente che conta, oggi, 26 mila opere.
La raccolta che non c’era
Il primo reperto della collezione, che è gestita dal Dai, istituzione culturale del Kuwait, risale al 1975. Da allora, Sheikh Nasser e Sheikha Hussah acquisiscono, nell’arco di otto anni, circa 20 mila reperti. Nel 1983 la coppia dona una selezione importante della raccolta al museo nazionale di stato: nell’agosto ’90, la guerra tra Iraq e Kuwait porta alla dispersione della maggior parte del patrimonio. Se è vero che un autentico collezionista non molla mai, la coppia riprende con le acquisizioni sino a coprire, nella collezione attuale, quindici secoli di storia islamica.
La sezione più preziosa, dei gioielli in oro, meraviglierà nelle ultime sale; prima però si potranno osservare tappeti, brocche e lampade, esempi di calligrafia, resti di elementi architettonici come capitelli, fregi di legno, lastre tombali.
Luoghi comuni sul vecchio Islam
Il visitatore che osserverà l’esposizione nei dettagli avrà più di un motivo di stupore; tra gli altri, il vedere pagine di manoscritti, bicchieri, mattonelle e tessuti con rappresentazioni di uomini o animali. Dell’arte islamica, il pubblico medio aveva poche certezze, se non quella che fosse vincolata al divieto di espressione figurativa. In realtà, spiega Curatola, non esiste nel Corano una vera e propria prescrizione formale di rappresentare figure. Viene imposto però di non porsi mai in concorrenza con Dio sul piano della creazione; da questo si diffuse l’abitudine, in modo particolare nei luoghi sacri, a evitare un’arte in chiave naturalistica, che sarebbe sembrata, a molti, un atto di superbia. Le moschee abbondano di forme geometriche e astratte, inoltre, per non distrarre il fedele dalla concentrazione interiore nella preghiera.