
Dal trono in Rio de Janeiro l’imperatore Pedro II soffoca il sogno secessionista del Rio Grande e del Santa Catarina. A nulla è servito l’eroismo di Garibaldi. A sud c’è l’Uruguay e visto che anche lì c’è da menare le mani ‘Josè’ vi spedisce la famiglia via mare. Lui raggiungerà Montevideo (racconta Dumas, nella biografia di questa sorta di Chè Guevara ‘de noantri’) trasferendovi 1000 buoi, donatigli dal governo sconfitto, dopo aver percorso 600 chilometri di sconosciuto e infido territorio in 50 giorni. Al termine del trasferimento arriva solo metà della mandria e Garibaldi, pessimo ‘businessman’ come tutta la gente onesta, si accontenterà del modesto importo ricavato dalla vendita di sole 300 pelli.
A Montevideo, senza buoi ma con tanto da “fare”

Anche se eternamente alle prese con la miseria (a quei tempi si faceva politica e si combatteva per passione) al Nizzardo piacque Montevideo: cosmopolita, 50.000 abitanti (più del 10% italiani) nella capitale del giovane Uruguay stava spuntando un benessere che sarebbe valso al Paese la definizione di Svizzera del sud America.
Ma anche sul Rio de la Plata scoppiavano con facilità le endemiche guerre civili tra Caudillos e l’arrivo di un combattente come Garibaldi non poteva che far esultare chi lottava per la libertà. Nominato colonnello, Josè allestisce e comanda una spedizione che, risalendo i fiumi Paranà e Uruguay (delimitanti una regione curiosamente chiamata Mesopotamia, dal greco antico trasferito tra gli Indios dell’altro emisfero) naviga tra insidie e imboscate per portare aiuto ai ribelli argentini del Corrientes.
Con la Legione Italiana, sbaraglia gli argentini

Compiuta la missione e ritornato nella assediata Montevideo, gli viene assegnato il comando di una Marina militare, che però, come accadde in Brasile, non esisteva. Garibaldi la inventa dal nulla, non senza organizzare la difesa della città e creare la Legione Italiana con esuli ed emigrati; poi, prima della fine delle ostilità, torna a quella “Guerra di corsa” che costituì il modo di guerreggiare da lui preferito. Al comando della ‘Maipù’ risale il Paranà, naviga sul Rio de la Plata, attacca, affonda o cattura navi argentine e rilascia quelle neutrali.
Dalla “Casa de Garibaldi” ai grattacieli di Punta del Este

Montevideo e Garibaldi. Per rilevarne le tracce (fatta eccezione per il monumento dedicatogli nella parte moderna della capitale) occorre visitare la città vecchia, il porto, laddove se non restano tangibili ricordi del soggiorno di Josè, quantomeno è possibile configurarsi come visse. Del futuro duce delle Camicie Rosse si può visitare (ma trovarla aperta è un’impresa) l’umile casa, oggi trasandato “Museo Historico” (sotto questa scritta il curioso con buona vista potrà anche notare la quasi illeggibile precisazione “Casa de Garibaldi”). Una città vecchia, con il porto, che sa di antico, abbandonato: ai primi del ‘900 la grande ricchezza (un esempio, nella Plaza Independencia, il modernista Palacio Salvo) che fece dell’Uruguay uno tra i più evoluti Paesi del mondo quanto a leggi, sistema politico, riforme sociali, non proveniva dal mare bensì dall’interno, dagli opulenti allevamenti che aiutarono a sfamare l’Europa del secondo dopoguerra. Poi fu la crisi, i Tupamaros, adesso l’Uruguay langue.
Molto è quindi (e ovviamente) cambiato dai tempi di Garibaldi a quelli odierni. Resta però intatta l’insofferenza, non solo calcistica, degli uruguaiani nei confronti degli argentini, così opprimenti, invadenti e soprattutto “tanti” (ma sopportati se vanno a spendere soldi – come solo i sudamericani sanno fare – tra le megaville e i grattacieli di Punta del Este, famoso resort chic e mondano fin che vuoi, ma per certo non un fenomeno di bellezze paesaggistiche). (3- fine)
“Josè e Anita”, miti sempre vivi delle Americhe

Ma l’Europa profuma di rivoluzione; è cominciato il “’48” e Garibaldi, preceduto da Anita con prole, lascia l’Uruguay salpando da Montevideo per l’Italia sul brigantino ‘Speranza’ con 63 fedelissimi a bordo. Non tornerà più nel sud America, ma oramai Josè è leggenda, non solo per gli italiani emigrati (in prevalenza veneti e trentini, nel Santa Catarina una Nova Trento si è recentemente gemellata con la nostra Trento). Nel Rio Grande do Sul una città è chiamata Garibaldi; il suo nome appare nelle Calles e Plazas di tante località, non solo brasiliane o ‘uruguagie’: l’Eroe dei due Mondi è ricordato con lapidi e statue in tutta l’America, dal Nicaragua a New York.
Un “cult” in cui si inserisce il mito di Anita, ovviamente preponderante nella sua terra natale. A Laguna, un museo ne raccoglie cimeli e reliquie. Nel sud del Brasile club femminili ricordano l’eroina “gaùcha” durante pittoresche adunate, beninteso a cavallo; persino una telenovela della tivù brasileira, ‘A Casa Das Sete Mulheres’, la ricorda al lato di Josè. E quanto da Anita compiuto come madre, compagna, combattente, prima in America e successivamente in Italia (umile e silenziosa, per questo non meno eroica) fa pensare che in occasione di feste e ricordi del secolo e mezzo di Unità (e nella sbandierata vicenda delle obbligatorie “quote donna”) un filino in più di evidenza Ana Maria Ribeiro de Jesus se lo sarebbe meritato. (24/03/2011)
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