Come raccontato nella puntata precedente, sono finito in Romagna-Emilia per festeggiare al Lido di Spina i 70 di Paolo, mio Scout rumagnòl, nonché “vicino di tomba” a Lugo e ‘tentato cuoco’ da qualche decennio.
Venerdì 8 Aprile
Fuggendo come da Buchenwald (una delle due signore-sentinelle non vigila giocando al Burraco col pc, l’altra è andata a prendere il sole) io e Paolo procediamo dal Lido di Spina verso Ravenna, laddove alla Gap Eventi abbiamo un puntello (ma casto: giusto un saluto con piadina e Sangiovese) con Bruna e Valeria sua erede, accorte ‘agentesse’ di viaggi (forse le ultime che ancora credono nella mia conoscenza del turismo). Prima, però, avrà luogo la solita non meno che immancabile sosta alle Mandriole (previo superamento del Reno al Passo di Primaro, oggidì mediante un ponte, per lungo tempo, nel secondo dopoguerra, usando come ferry i mezzi da sbarco dell’esercito britannico; dove esisteva il traghetto trovasi adesso un’osteria -col Castrato così così- un tempo umile negozio contadino in cui bere un bicchiere e comprare l’acetilene e quant’altro necessario per chi vive nei campi).
Ah… l’Eroica Anita…
Lasciata a sinistra Casal Borsetti (Paolo vi possiede un Capanno in cui non si è mai pescato un pesce che fosse uno, fortunatamente, perché i cefali di questi melmosi canali e fiumi sfocianti nell’Adriatico altro non sono che fango e squame, ‘na vera schifezza’) si curva a destra verso le Mandriole. Due i motivi della deviazione.
Uno: un riverente saluto, sia pur di passaggio, ad Anita Garibaldi (assai vicini, l’edificio dove spirò, il cippo commemorativo e la chiesa in cui fu provvisoriamente sepolta prima di finire sotto il monumento al romano Gianicolo). Grande, la brasileira Anita Ribeiro, e se già ne ammiravo da sempre il suo oscuro eroismo, figuriamoci quanto la adoro adesso, dopo averne raccontato le gesta in Brasile e Uruguay fianco al suo amato Peppino (che per sua fortuna è morto senza sapere chi fosse Lele Mora).
Zuccherini deliziosi. Fino a quando?
Secondo motivo di stop alle Mandriole: il Forno, semplice non meno che celebre (almeno per la Romagna-bene vivente da queste parti, vedi i Suv che vi sostano scaricanti sciure che vanno a fare shopping). In effetti non si tratta di un Prestinée qualsiasi, bensì dell’ultimo forno a legna della bassa romagnola (non so in collina), quindi un posto da vedere (e per umile che sia, si ammira di fianco pure il vecchio forno in mattoni). Morale: chi passa da quelle parti compri gli Zuccherini e il suo palato scoprirà nuovi sapori (presente i vari biscotti del Mulino Bianco? beh – con il dovuto rispetto – tutto il contrario). Al Forno scopro poi (sempre grazie al prezioso contributo linguistico di Paolo, per me tanto d’aiuto quanto lo erano le guide-interpreti Sioux per il generale Custer) qualcosa che non funziona tra i giovani del mio forse troppo ricco Belpaese. Apprendo infatti che i proprietari cercano da tempo qualcuno voglioso di dare una mano nella creazione del pane e dei già lodati Zuccherini. E la paga sarebbe, oltretutto, più che buona. Se non che – mi commentano – appena gli notifichi l’ora d’inizio delle infornate il candidato scappa via scattando come nemmeno il Berruti alle Olimpiadi.