La truffa è sempre in agguato
Le ragazze ordinano un tè, e mentre aspettiamo continuano a parlare diventando quasi fastidiose e tentando di impedire ogni tentativo di comunicazione tra me ed il mio compagno, che nel frattempo ci eravamo accorti dell’assurdità della situazione. Ci viene servito solo il tè, se così si può chiamare un litro d’acqua con una foglia sul fondo, con quattro minuscole tazze, e le due insistono per farcelo assaggiare decantandone la tipicità. Pochi minuti dopo, stanchi e sempre più allertati, decidiamo di andarcene e ci congediamo gentilmente; proprio in quel momento la truffa si rivela, dato che ci viene portato un conto di circa sessanta euro, non lo stesso del menù, che le ragazze insistono per dividere. Vedendo che abbiamo con noi anche banconote malesi, ci dicono che il bar accetta qualunque tipo di moneta straniera e perfino carte di credito per il pagamento, ma noi rifiutiamo di usarle; mentre le due ci mostrano che non possono anticipare denaro per noi perchè casualmente la somma a loro disposizione è contata al centesimo, ce la caviamo con undici dollari per un bicchiere d’acqua calda a testa, e ce ne andiamo sdegnati. Così passa la nostra prima serata pechinese ma l’amarezza ci accompagnerà ancora per qualche giorno. La mattina successiva, mentre ci dirigiamo verso la Città Proibita, un cartello nella hall dell’albergo attira la nostra attenzione: “Truffa! Non fermatevi a parlare con nessuno per strada, non seguite nessuno a cena o per il tè. Specialmente le ragazze”. Oltre il danno la beffa! (1 – Continua)
(16/06/2011)
Un tè salato
Dopo pochi minuti ci chiedono di cenare insieme, ma noi rifiutiamo gentilmente; iniziano allora ad insistere per bere almeno una tazza di tè con noi, e quando decliniamo nuovamente l’invito ci pregano di fare loro compagnia, dicendo che parlare con i turisti è la loro unica possibilità di migliorare l’inglese. Ci lasciamo convincere, e loro ci chiedono di seguirle in un posto tipico di loro conoscenza; mentre saliamo sulla scala mobile del Wangfujin, unico centro commerciale fatiscente della zona, raccontano di essere due studentesse di Shanghai in vacanza a Pechino dopo il termine del semestre. Raggiunto il secondo piano, ci infiliamo in un angusto corridoio al termine del quale c’è una specie di bar di infima categoria, senza clienti (come il resto del centro commerciale), e veniamo letteralmente chiusi in una stanzetta laterale, con quattro sedie ed un tavolino. Chiedo subito se è possibile pagare in dollari, dato che abbiamo lasciato in hotel gli yuan cambiati, e vengo immediatamente rassicurata. Ci viene portato il menù, e notiamo che i prezzi sono davvero altissimi; l’unica bevanda abbordabile è una coca cola a cinque euro.
Giro giro tondo
Se non è la prima impressione quella che conta, decidiamo comunque di non fidarci di altri tentativi di approccio, prendiamo il bus di collegamento alla stazione e da lì il famoso fast train, che in 31 minuti ci fa raggiungere la capitale. Carichi di bagagli, non potendo percorrere a piedi i tre chilometri che ci separano dall’albergo, prendiamo un taxi, aspettandoci di spendere circa 15 yuan, dato che la cifra fissa per i primi tre chilometri è di 10; arriviamo inspiegabilmente circa mezz’ora dopo, quando il contachilometri ne segna 12 ed ormai conosciamo piazza Tiananmen a memoria, avendone fatto il giro tre volte. Risultato: 30 yuan di taxi.