Che grandi quegli uomini che costruivano le loro case sulla meravigliosa spiaggia di Skara Brae. Meravigliosa, ma fredda, davanti a un mare gelido, che circonda la principale isola dell’arcipelago delle Orcadi, nel profondo nord della Scozia. Avevano un grande coraggio, questo è certo, ma pure una considerevole grazia, che si esplicava nella disposizione dei letti, separati dal resto da grandi lastre di pietra piatte e sottili. C’erano anche la credenza e un paio di vasche dove mettere i pesci e i crostacei vivi, come si fa ancora oggi nei colpevoli acquari di certi ristoranti.
Pietre come preghiera
Altre pietre conficcate a terra, questa volta sotto la volta celeste, formano i monumentali circoli di Stenness e Brodgar, capolavori dell’arte megalitica. Tutto ciò veniva costruito 5000 anni fa, in tempi che noi chiamiamo primitivi ma che dovremmo limitarci a chiamare Preistoria, perché di primitivo qui c’è ben poco. Queste pietre evocano qualcosa che non si limita alla celebrazione della bellezza del tramonto o del sole o del sito. Queste pietre sono i nostri antenati che cercavano di innalzarsi verso il cielo e che, malgrado le enormi difficoltà del vivere, si fermavano per onorare la bellezza del sole, dell’erba e del mare. Sono grandi dita che desiderano sfiorare la mano di Dio. Ma non c’è parola che renda l’idea, non c’è descrizione che possa minimamente avvicinarsi alla superba poesia raggiunta con semplici pietre, che si crederebbero materia inerte e muta ma non lo sono nemmeno in apparenza, da uomini che non sapevano scrivere.
Gli artisti delle “pietre infisse”
Poiché le case di pietra pare avessero un tetto di “turf”, lo spesso tappeto erboso tipico di queste isole, che non era a prova di pioggia (e qui eccome se piove) ogni giaciglio aveva una copertura di pelli. Che dire? Dormivano in una sorta di letti a baldacchino, questi cosiddetti primitivi. Le case del villaggio erano collegate da corridoi coperti, appunto per non prendere la pioggia e insieme per sentirsi più protetti. Quante notti buie hanno visto questi uomini che vivevano davanti a un mare buio. Notti lunghissime negli inverni del nord Europa, accompagnate dai giorni senza fine delle estati orcadiane, durante le quali il sole sorge alle quattro del mattino e se ne va a mezzanotte.
Questi grandi uomini si erano ben sistemati, non c’è che dire, e trovavano anche il tempo per onorare i loro morti con tumuli di pietra, anch’essi contraddistinti da pietrone infisse, che servivano in qualche modo a limitare, oltre al giaciglio dei vivi, anche quello, più estremo ma analogo per posizione, dei defunti. Maeshowe testimonia questo culto, così come la Tomba delle Aquile e molti altri luoghi di sepoltura posti in posizioni panoramiche, come se i morti, o chi li andava a trovare, sentisse la necessità di un bell’orizzonte. Il piccolo ingresso a Maeshowe è stato fatto in modo da allinearsi con il sole durante il solstizio d’inverno e illuminare la stanza centrale. Questo ha fatto pensare molte cose strane su astronomi e alieni; comunque sia la cosa certa è che questi uomini guardavano il cielo con grande attenzione e avevano la pazienza di osservare con cura i movimenti di quel pianeta caldo e giallo che spazzava via la notte.