Azulejo è una piastrella dipinta con colori tenui e lucidata perché si conservasse nel tempo. Ma così non è stato. Ed è bene riflettere sui soprusi – che spesso sconfinano nel vandalismo – compiuti su oggetti inanimati e dolcissimi che vengono asportati, quindi sradicati, dal loro contesto originale e (sempre) popolare.
C’è un angioletto azzurro appeso alla parete davanti a me. Guarda l’orizzonte dalla sua cornice di velluto rosso e oro. È un azulejo, una piastrellina decorata tipica del Portogallo e del Brasile. Quella in mio possesso in specifico è stata acquistata a Lisbona, ma potrebbe avere viaggiato attraverso l’oceano, prima di attraversare parte del Mediterraneo per arrivare qui.
Azul è una parola araba che significa lapislazzulo e poi in portoghese e in spagnolo passò a significare azzurro. Zulej invece, sempre derivato da azul, significa levigato e lustro, così azulejos è qualcosa che racchiude in sé i concetti di colore del cielo e insieme di liscio e luccicante. Il mio angioletto ha tutte queste caratteristiche di splendore, ma i suoi occhi sono tristi. Ha parecchie decine di anni ed è stato staccato senza troppi complimenti dal muro su cui stava. L’angelo non ha più la leggera tunica e nemmeno le ali, rimaste su un muro orfano di un paese lontano, private del volto per cui erano state disegnate.
Azulejo, un amatissimo Angelo casalingo
Dopo aver acquistato con entusiasmo il mio azulejo ho scoperto che questi volti vengono barbaramente asportati dalle elaborate e magnifiche opere d’arte cui in origine appartenevano, sia in Portogallo che in Brasile (paese dove è più facile strapparle dai muri ed esportarle sul mercato portoghese), per essere vendute ai turisti desiderosi di portarsi a casa come ricordo un pezzo del luogo che hanno visitato. Mi sono sentita in colpa, perché troppe volte nel mio paese ho visto opere d’arte mutilate perché qualche sciocco gitante di questi o altri tempi si era voluto appropriare di un pezzo del passato del mio popolo.
Ora so che il mio angelo è infelice perché non vede più il sole del Sud America o dell’Algarve né le onde di una qualsivoglia sponda dell’Atlantico. Quell’angelo (o almeno io credo che lo sia, vista la dolcezza dei suoi tratti) che dico mio invece mio non è affatto. Appartiene al luogo dal quale è stato strappato e mi guarda dal muro del salotto ammonendomi per la mia pochezza. Spero che un giorno anche lui possa trovare la strada di casa.