Lo Sguardo oltre le Dune
Carla
: La nostra storia comune è nata ancora una volta dal deserto. Era il 1998: camminavo da giorni nel deserto del Taklimakan, in Cina, impegnata ad attraversare un luogo mai percorso da altri esseri umani prima di me. Nel cuore di quel luogo meraviglioso e difficile non mancava certo il tempo per pensare. È stata la più lunga delle mie traversate nei deserti del mondo: ventiquattro giorni di completa solitudine, lontana da ogni presenza umana. Le lunghe giornate fatte di passi infiniti chiedevano solo di essere riempite dai pensieri.
Alcuni momenti, più di altri, si sono impressi nei ricordi, segnati da episodi anche marginali, capitati per caso o provocati apposta, spesso per sconfiggere la noia o esorcizzare momenti di tensione e sofferenza. Istantanee nelle quali anche un sasso trovato nella sabbia o un cambiamento di colore del terreno potevano fare la differenza e trasformare la giornata da ordinaria a speciale. A distanza di anni, ricordo ancora la volta in cui mi sono trovata a percorrere un lungo tratto dove la sabbia era stranamente piatta e molto regolare.
Per ore ho camminato finalmente libera, senza quella concentrazione che di solito mantenevo a ogni passo, per evitare che anche l’imprevisto più banale potesse diventare un grosso problema e, a un certo punto, non so se per noia o per ripetere un gioco che spesso si fa da piccoli, ho chiuso gli occhi. Sono andata avanti per qualche minuto, camminando alla cieca e resistendo alla tentazione di guardare: all’inizio i passi erano incerti e scoordinati, poi, man mano che avanzavo, l’andatura si faceva sempre più stabile e sicura. Ma è stata soprattutto la sensazione che ho provato a stupirmi: istintivamente immaginavo di sentire angoscia, invece un grande senso di libertà, del tutto inaspettato, ha incominciato a diffondersi nel corpo e nella mente.
In quale altra situazione sarebbe possibile fare questo? mi sono chiesta. Solo nel deserto, ho concluso, si può camminare al buio senza paura. Al momento non mi sono resa conto che quella brevissima esperienza, nata quasi per gioco, avrebbe avuto uno sviluppo imprevedibile per il mio futuro. Durante l’abituale sosta di mezzogiorno, con la schiena appoggiata allo zaino e le gambe allungate nella sabbia a riposare, la mente ha richiamato il ricordo di quei passi nel buio e nel silenzio, e i pensieri hanno incominciato a prendere forma.
Chissà se una persona che non vede, un cieco, sarebbe in grado di camminare nel deserto, mi sono domandata, mentre sorseggiavo l’intruglio dolce di integratori che costituiva una buona parte del mio pasto. E poi: ma ci sarà qualcuno di loro interessato a fare questa esperienza? Per anni, il ricordo di quei pensieri nati nel cuore del Taklimakan è stato archiviato in una sezione immaginaria del mio cervello che ho chiamato con una parola semplice ma suggestiva: «Sogni».
È una casella in cui il materiale non manca mai e dove spesso vado a rovistare quando ho bisogno di ritrovare energie e stimoli per nuovi progetti. Però le sensazioni di quei passi al buio nel deserto cinese non sono mai svanite, anche se intanto il tempo passava e nel frattempo ho attraversato anche l’ultimo dei miei deserti da record: il Simpson Desert, in Australia. Poi, qualche anno fa, quando il ciclo «Un deserto per continente» si è chiuso, realizzando finalmente il grande sogno della vita, sono tornata a curiosare in quella casella immaginaria e l’idea di dar corpo a quel pensiero ha cominciato a prendere forma.
Quando l’attenzione si focalizza su un nuovo progetto, si vive un momento davvero particolare. Da un lato c’è l’entusiasmo di dar vita a un sogno e subito una scarica di adrenalina percorre ogni fibra del corpo e rende la mente pronta e reattiva come non mai. Dall’altro invece, la consapevolezza della grande responsabilità e dell’incredibile mole di lavoro che mi aspetta, nel caso decidessi di andare avanti, fa nascere una lunga serie di preoccupazioni. In questo caso specifico poi, mi rendevo conto che avrei dovuto coinvolgere un’altra persona, e il fatto che fosse un disabile avrebbe accresciuto in modo esponenziale i timori e l’inevitabile carico di responsabilità che un’idea del genere avrebbe portato con sé. E per la prima volta, nel valutare un progetto, avevo paura.
Lo Sguardo oltre le Dune
Fabio, il primo contatto diretto
. È quasi l’una e, come al solito, sto preparando il pranzo per me e Oriana, mia moglie, che sarà a casa a breve. Squilla il cellulare e, come d’abitudine, attivo il tasto per sentire il nome del contatto in rubrica e la voce campionata del telefono annuncia: «Perrotti Carla chiama!» Lascio passare solo due secondi prima di rispondere, ma è un lasso di tempo infinito in cui nella mente si agita un turbinio di emozioni e pensieri incontrollati. Non so ancora cosa ci diremo, ma una sorta di narcisistica vanità, legittimo orgoglio, stupida presunzione, sana curiosità mi riempie la testa.
In quei due secondi ho già sgombrato il campo da tutte le preoccupazioni, le paure, i pregiudizi e sono pronto a dire sì. L’idea di un’impresa unica e sensazionale realizzata da un non vedente mi suscita tutte queste sensazioni e non mi fa pensare in modo logico. Carla e io passiamo subito al tu e ci scambiamo alcune informazioni di carattere anagrafico, tanto per darci un quadro sommario l’uno dell’altra.
Parlo di più io, raccontandole delle mie maratone, del mio lavoro e delle mie passioni. Poi è lei a prendere in mano le fila del discorso per spiegarmi, a grandi linee, l’ipotesi del progetto, chiarendone da subito le differenze con le sue precedenti imprese, poiché lo spirito della condivisione realizzata in sicurezza dovrà essere la priorità di questa nuova avventura.
Mentre Carla parla, pur seguendola con attenzione, faccio un esercizio per me abituale: dal tono della sua voce, comincio a costruirmi un’immagine di lei, mettendo a fuoco parecchi dettagli della sua personalità. Il mio lavoro di centralinista, che mi porta all’ascolto quotidiano di tantissime voci, mi aiuta in questo gioco psicologico e così tratteggio il ritratto di Carla. Dalla voce sicura, chiara, dal ritmo sciolto, dall’accento neutro e da una erre leggermente arrotata mi faccio l’idea di una persona piccola di statura, di corporatura esile ma forte, che non fuma, dal viso leggermente allungato, dalla capigliatura bionda e vaporosa.
Più dei lineamenti fisici, emergono con forza il suo carattere deciso, ma controllato, una gentilezza nei modi tutta naturale, non impostata, e una forte dose di autostima. Carla sonda la mia disponibilità, che arriva pronta, anche se siamo ancora in una fase molto interlocutoria, poiché tutto è ancora indefinito. C’è da capire se il progetto è realizzabile, dobbiamo risentirci per vagliarne a fondo ogni aspetto: al momento ci limitiamo a studiarci l’un l’altra, per capire se tra noi può nascere quell’intesa, quell’empatia necessaria per affrontare insieme un’esperienza così particolare e intensa. Prima di qualsiasi decisione, devo farle presente due situazioni importanti: la malattia della mia amatissima mamma e l’importanza di avere l’approvazione di Oriana ai cui occhi quell’impresa, lo so già, ora significherebbe solo rischio e fatica. Ma siamo ancora solo nel campo delle possibilità, ed è con tutta questa serie di condizionali che ci salutiamo.
Lo Sguardo oltre le Dune. Diario a due voci scritto con la mente e con il cuore, di Carla Perotti e Fabio Pasinetti, edizioni Corbaccio, pagine 254, € 17,50