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La chiamano Msawawa Ziyawa, la “città bollente”, quella dove accadono le “cose”. Dicono anche che sia una delle città più pericolose di tutta l’’Africa.
In realtà, è una vera metropoli del terzo millennio e uno dei conglomerati più interessanti del mondo, dove dopo oltre quarant’anni di segregazione è scoppiata la voglia di affacciarsi alla realtà esterna.
Ogni mattino, risvegliandosi, Johannesburg cerca di sperimentare un’’esperienza umana diversa: quella di vivere in una società autenticamente multirazziale dove, nonostante le difficoltà, bianchi e neri, insieme, si sentono impegnati a scommettere su un futuro di completa integrazione. E’’ questo che la rende indimenticabile: la capacità di racchiudere in sé il meglio della tecnologia occidentale e insieme la forza, la speranza e la disperazione dell’’Africa intera.
Le colline dell’oro

Alcune di esse sono state addirittura dichiarate monumento nazionale e non possono essere toccate. Eppure nessuno penserebbe, guardandole, che sono loro all’’origine della straordinaria epopea di Johannesburg: sono infatti formate con i detriti delle miniere d’’oro che, scoperte a partire dal 1886, hanno per sempre trasformato l’’economia e l’’esistenza di questa parte meridionale dell’’Africa.
Il ritrovamento del più grande bacino aurifero del mondo da parte di un umile cercatore, George Harrison, segnò l’’inizio di una corsa all’’oro senza precedenti e la squallida bidonville degli inizi si trasformò nell’’arco di tre anni nella più grande città del Sudafrica.
Oggi Johannesburg, o meglio Jo’burg, come viene comunemente chiamata da chi ci vive, conta sette milioni di abitanti, anche se nessuno sa esattamente quanti siano in realtà, perché sono centinaia di migliaia ogni anno i clandestini che arrivano da ogni angolo del continente, attirati dal miraggio della ricchezza.
Vivono in seicentonove zone residenziali diverse e parlano dodici lingue, dallo zulu all’’afrikaans, allo “street language“, la parlata cittadina che assorbe espressioni da varie lingue e dialetti locali.
Lunghe “highways” a collegare tante città

La prima immagine di Johannesburg la si cattura quasi sempre dall’’aereo, dopo un lungo volo intercontinentale; al primo sguardo appare non troppo diversa dalle decine di metropoli tutte tristemente simili, nelle quali modernissimi grattacieli si alternano a squallidi quartieri dormitorio. Per scoprire invece l’’anima di questa sconfinata città, che ospita un quinto di tutta la popolazione del Sud Africa, bisognerebbe arrivarci in macchina attraversando chilometro dopo chilometro l’’immensa, arida vastità del “veld”. Solo così si riuscirebbe a capire perché Johannesburg non sia soltanto l’’unica vera metropoli del continente africano, ma insieme la più grande “città dell’’oro” di tutto il mondo. Lo si capisce ancor prima d’’arrivarci, percorrendo le lunghissime highway a sei corsie che attraversano la distesa di pascoli, quando ancora il complesso dei grattacieli appare come uno skyline lontano che si confonde con l’’orizzonte; si ’incontrano strane colline gialle ormai coperte da un’’erba che, a seconda della stagione, sfuma dal verde all’’arancione. Fanno parte dell’’identità della città e della storia di questo altopiano, esattamente come il Colosseo a Roma o l’’Empire State Building a New York.
Le zone dei ricchi: bianchi e neri

Un’’atmosfera completamente diversa si respira a Rosebank e a Observatory, con le belle case circondate da giardini verdissimi, abitate non più solo dai bianchi ma anche dai neri benestanti. Oppure a Sandton, con il più grande shopping center di tutta l’’Africa e nell’’elegante ed esclusivo quartiere di Houghton, nel quale si trasferì Mandela dopo aver lasciato Soweto. O ancora a Yeoville, con le case colorate, i caffè con i tavolini all’’aperto, i negozi e il mercatino. Alexandra è una sequenza infinita di villette con giardino, di eleganti shopping center, di ristorantini etnici, di locali afro-jazz dove nasce la musica di tendenza che approderà nelle discoteche più “in” di Londra e di New York. Forse Johannesburg non è una città, ma tante città insieme, collegate tra loro da interminabili highway.
Dalla sommità del Carlton Centre, con i suoi cinquanta piani occupati da negozi, alberghi e uffici, fino alla galleria d’arte dell’’ultimo piano, la vista spazia ad abbracciarla tutta: dalla ricchezza dei palazzi che ospitano gli uffici di banche e società minerarie si passa agli edifici fatiscenti, alle baracche senza luce né acqua, alle sterminate township fatte di lamiera e di cartone. In un certo senso, l’’intera Johannesburg è ancora articolata in ghetti: quelli per i bianchi e quelli per i neri; quelli per i ricchi e quelli per i poveri.
La Casa di Diamante e le “farmacie” locali
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C’è un angolo della Downtown, all’’incrocio tra la Diagonal e Pretcher Street, che forse meglio di ogni altro riesce a riflettere i contrasti di questa metropoli unica al mondo.
Da un lato, il modernissimo palazzo di vetro da tutti conosciuto come “The Diamond Building” che sembra un monumento alla potenza del denaro: appartiene alla società Anglo-American, della quale fa parte anche il gruppo De Beers, il maggiore produttore di diamanti del mondo. Svetta verso il cielo e con le sfaccettature delle sue cinquantasei facciate vuole appunto ricordare la preziosità del diamante.
Sul lato opposto, un grazioso edificio di fine Ottocento con il ballatoio di ferro battuto bianco e verde ha la grazia di un merletto.
Camminando per le vie del centro, tagliate ad angolo retto come quelle di New York, si incontra quasi esclusivamente la popolazione nera: le donne con le sottane multicolori e i tipici copricapo annodati e i ragazzi fermi davanti ai banchetti improvvisati lungo le vie, dove le radioline sono vendute accanto alle radici vegetali e alle galline bianche contro il malocchio. Ma ci sono anche i grattacieli splendenti delle banche di Commissioner Street, gli eleganti edifici delle società aurifere.
E poi c’è Soweto (South West Town) che è diversa da tutto il resto perché qui è racchiusa non solo la storia di Johannesburg, ma di tutto il Sudafrica. Qui vivevano i neri che potevano lavorare in città, ma non dormirci. E da qui, il 27 aprile del 1994, Nelson Mandela pronunciò parole che entrarono nella storia: “Oggi – disse – è un giorno come nessun altro”. Dopo oltre cinquant’anni di apartheid, da allora per il Sud Africa ebbe inizio una nuova era.
Rivale di Città del Capo
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Certo non si può giudicare Johannesburg una bella città nel senso classico del termine. Da sempre in contrapposizione con Città del Capo, fa la figura del brutto anatroccolo, senza la spettacolarità della baia e l’’imponenza della Table Mountain a due passi dalle spiagge. Non può vantare un centro storico, né palazzi antichi, né vedute entusiasmanti. Ma a 1700 metri di altitudine gode di un clima invidiabile e, nella zona settentrionale, è un’’immensa città giardino, con sobborghi residenziali più esclusivi di Beverly Hills e il record assoluto in fatto di percorsi golfistici, con ben ventisei campi perfettamente curati.
Difficile definire Johannesburg, perché cambia fisionomia ad ogni strada e in pochi anni si trasforma: Hillbrow è stato il primo quartiere dove bianchi e neri hanno cominciato a lavorare insieme, ma oggi è completamente degradato e considerato “a rischio”, anche se rimane uno straordinario punto di osservazione per capire l’’essenza di questa metropoli così esotica e viva. Proprio a Hillbrow sorge uno dei simboli più tristi del passato regime dell’’apartheid: l’’enorme prigione dove venne rinchiuso anche Mandela.
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