La parete della mia stanza è gialla come la carta dei giornali vecchi. I Spy scopre il lenzuolo e vede un lungo capello ondulato; c’è dell’acqua sul pavimento del bagno, e quando sposto l’unica sedia, le veneziane di plastica sbatacchiano come il sonaglio di un lebbroso. Sono a casa. Mi siedo su quell’unica sedia su cui si è seduto un intero popolo e apro la cartina di Teheran. Appena arrivo in un luogo mi assale un’avidità tremenda, devo sapere come è fatto, scoprire il «sistema» della città, devo camminare, annusare, guardare, prendere autobus e tram, conquistare la città.
(16/11/2012)
Gli alberghi sono tutti pieni, e su tutti i giornali ci sono fotografie di delegazioni tedesche, giapponesi e italiane che gravitano intorno allo scià come cortigiani intorno al Re Sole; e in effetti loro sono cortigiani, e lui è il Re Sole. Una hostess distribuisce il Kayhan, un giornale persiano in inglese. «Sua Maestà Imperiale Shahanshah auspica l’apertura di un’acciaieria a Khorassan, Iran e India raggiungono un pieno accordo» c’è scritto, e: «Suryanarayan Veena suona musica carnatica al Teatro comunale alle ore 20». Poi, nuova dimostrazione della mia strana ottusità, quando si tratta di fatti semplici: a un tratto mi rendo conto che sto volando per la prima volta verso oriente e proprio perché me ne rendo conto, accadono contemporaneamente tre cose, una concreta: diventa sempre più buio, e due sentimentali: avverto la sensazione fisica di sorvolare qualcosa di molto antico e qualcosa di infinitamente vuoto ed esteso. Sono vere tutte e tre, ma la sensazione fisica è strana, perché mentre penso al trono del pavone, a Senofonte, Erodoto e Zarathustra, il mezzo di trasporto su cui mi trovo mi trascina in un luogo che potrebbe essere tanto a ovest quanto a nord. Comunque sia, il viaggio dura cinque ore, ed è mezzanotte quando attraverso a piedi la pista di atterraggio che puzza di benzina, supero un paio di mostruosi aerei militari e vado verso il caos.