Queste note vogliono essere il ‘secondo tempo’ – per usare un termine sportivo – di quelle pubblicate per commemorare il 27 gennaio. Se ogni anno il fulcro dei ricordi s’incentra sulla Shoah e sui tragici avvenimenti verificatisi nei sussulti finali di una guerra già di per sé insulsa e tragica, quest’anno la riflessione che intendiamo stimolare, in una data rispettosamente successiva al 27 gennaio, vede per protagonista il nostro paese.
La Shoah ha rappresentato il delirio finale e criminale dell’uomo; ma negli anni precedenti, in Germania come in Italia, il seme dell’odio e del razzismo aveva attecchito in misura sempre maggiore, lasciando presagire (per le menti pensanti) quella che sarebbe stata la famosa ‘soluzione finale’: lo sterminio degli ebrei. Da noi, negli anni che precedono l’entrata in guerra, c’è il regime fascista e a conflitto iniziato ci troveremo ‘alleati’ (mai troppo amati, per la verità) del Reich hitleriano e della sua possente “macchina da guerra”; a dire il vero a completare il famoso ‘Asse’ c’è anche il Giappone; isole comunque troppo lontane dalla nostra realtà, delle quali si occuperà l’America.
Esaltazione collettiva e vita difficile
Quelli della Grande Guerra sono gli anni di Mussolini al potere e dell’apparato fascista che tutto controlla e ‘guida’, anche tramite i funzionari della temutissima Ovra (polizia segreta). Sono gli anni delle ingenti spese militari che tolgono benessere ai cittadini; quindi circolano le tessere annonarie per l’acquisto ‘misurato’ dei generi di prima necessità; tutto viene prodotto in autarchia – per non dipendere dai paesi nemici – e il Duce a torso nudo impugna la falce e taglia il primo grano cresciuto nelle aiuole di piazza Duomo a Milano. Frattanto, si dona l’oro alla patria, c’è la ‘borsa nera’ e ci sono i ‘capi fabbricato’ incaricati di dare un occhio affinché gli inquilini si comportino come il regime impone, pena la delazione.
I ragazzini sono ‘Giovani Balilla’ e le ragazzine ‘Piccole Italiane’. E’ un tripudio, lungo lo stivale, di ‘Faccette Nere’ (Libia e Somalia: abbiamo anche noi il nostro Impero) e di ‘Giovinezza’, cantate dagli squadroni motorizzati della Muti che scorrazzano per le città, purgando con l’olio di ricino (quando va bene) chi è contrario al regime. Ci sono le ‘adunate oceaniche’ con le moltitudini vocianti e inneggianti sotto il balcone di Piazza Venezia e in mille altri luoghi. Infine, ci sono ‘anche’ gli Ebrei, italiani da generazioni, perfettamente inseriti nella società e a loro volta diluiti nei cento dialetti della penisola, ricchi di una mai negata intelligenza e portatori di notevoli contributi culturali e professionali. Ciascuno con i propri pregi e i propri difetti, si capisce. Esattamente come tutti gli altri.
Leggi razziali appoggiate da Scienziati e nomi illustri
A seguito della tragica sostanza delle Leggi razziali, sostenute e imposte da un regime dittatoriale, il proverbiale spirito italiano all’insegna del ‘vivi e lascia vivere’ è andato progressivamente in frantumi, sconvolgendo la vita di molti. Tutto ciò ha generato vigliaccheria e cattiveria, prevaricazione e violenza… Per fortuna, il ‘seme’ buono degli italiani ‘ariani’, ce l’ha fatta a rimediare alle ingiustizie e alle follie collettive, alimentate queste anche dalle posizioni ufficiali di illustri personaggi della società del tempo, che hanno sottoscritto e appoggiato coram populo le tristemente famose Leggi razziali. Qualche nome? Cominciamo con gli ‘addetti ai lavori’ (dirigenti fascisti): Ciano, Farinacci, Graziani, Bottai, Starace, Pavolini (quello del Minculpop, Ministero della Cultura Popolare) e Appelius (‘voce’ radiofonica del regime) oltre, naturalmente, il Dux Benito Mussolini.
Spicca tra i fascisti del dopo regime, Giorgio Almirante. Tra i politici che avrebbero assunto un ruolo non indifferente nell’Italia repubblicana: Amintore Fanfani. Lungo e significativo anche l’elenco di uomini di cultura, responsabili di istituzioni pubbliche. Per molti giovani sono personaggi che magari dicono poco; ma per chi ha qualche anno di più sulle spalle, la sorpresa di saperli coinvolti è pari al disappunto che si prova leggendone i nomi: Piero Bargellini. Giovannino Guareschi, Mario Missiroli, Giovanni Papini, Ardengo Soffici (scrittori e giornalisti); Gino Boccasile, Walter Molino (pittori, illustratori); Cesare Frugoni, Nicola Pende (illustri clinici); Agostino Gemelli (fondatore Università Cattolica).
E tanti altri ancora. Finita la follia nazista e azzerata quella fascista, oggi la società multietnica e civile deve affrontare e risolvere il problema dei possibili ‘rigurgiti’ ideologici e violenti. Operazione difficile, ma non impossibile. Una corretta informazione su ciò che è avvenuto, dovrebbe infatti costituire la base per suggerire una personale linea di comportamento che sia in sintonia con le esigenze della socialità.
Ebrei a Milano
All’epoca del Ducato di Milano, con i Visconti prima e gli Sforza in seguito, gli ebrei non avevano il diritto di risiedere in città; al massimo potevano fermarsi per qualche giorno, giusto il tempo per sbrigare i loro affari. I primi gruppi di ebrei ‘organizzati’ si stabiliscono a Milano nei primi anni dell’Ottocento e arrivano dalla comunità mantovana; molti altri seguiranno, man mano che la città si sviluppa, offrendo migliori possibilità di vita e di lavoro. Dalla seconda metà del secolo (1870) il numero di chi si stabilisce qui cresce progressivamente: settecento negli anni Settanta, duemila nel Novanta, quando la futura metropoli contava 400mila residenti. Poi l’aumento sarà costante; negli anni Venti del Novecento la comunità conta poco più di 4.000 persone, salite a 8.000 negli anni Trenta.
L’aspetto curioso di tale incremento è dato proprio dall’arrivo di molti ebrei tedeschi, che lasciano la Germania con l’avvento di Hitler, La punta massima di tali presenze si ha nel 1938 (12mila persone). Gli anni successivi vedranno l’espatrio – verso la Palestina e nelle Americhe – di 5.000 ebrei milanesi. Quelli deportati in Germania dai tedeschi saranno quasi mille e fra questi solo cinquanta scamperanno alla morte. Con la fine della guerra la Comunità di Milano riprende vigore e funge da centro di passaggio e smistamento per molti profughi reduci dai lager nazisti, prima di raggiungere la Palestina.
Il centro milanese accoglierà anche molti ebrei provenienti dai paesi arabi, costretti a lasciare le loro case a seguito dei conflitti arabo-israeliani. Oggi, gli ebrei di Milano frequentano a pieno titolo le istituzioni cittadine e sono milanesi a tutti gli effetti. La comunità è culturalmente omogenea e partecipa attivamente alla vita e alle fortune della metropoli.
Le Leggi razziali di Benito Mussolini
Il 18 settembre del 1938 Benito Mussolini utilizza un balcone diverso (quello del Municipio di Trieste) per far sapere agli italiani ‘che è tempo che si proclamino francamente razzisti. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose; deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico’. Le leggi razziali italiane del ’38 erano state precedute da quelle promulgate in Germania nel 1933 e ne ricalcano la durezza e il tono impositivo.
Certo è che provocheranno un profondo turbamento e conseguenti sconvolgimenti nella vita di tutti i giorni, sino alla catastrofe della guerra e delle deportazioni di massa. I ‘dieci articoli’ (moderni ‘comandamenti’ degli uomini per gli uomini) contengono passi sui quali sarebbe bene riflettere, leggendoli. Un gruppo di famosi scienziati, clinici e cattedratici dell’epoca era stato investito del compito di redigerli, con il beneplacito finale del partito fascista. Eccone una scelta. ‘
Cosa è scritto negli articoli della legge
…Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti
’ (art.1).
L’art 2 prevede l’esistenza di ‘gruppi sistematici’ (razze) maggiori e minori (es.: i nordici, i mediterranei, i dinarici ecc.). Non solo, l’art. successivo afferma perentoriamente che ‘…il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose’.
L’art. 4 inizia sfiorando concetti di involontaria comicità: ‘…la popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana.’
Le note aggiuntive di questo art. e di quello che lo segue, sostengono che da millenni è così e non vi sono tracce di popolazioni pre ariane; anche perché (invasione Longobarda a parte) nessuno è venuto in Italia a mutare ‘la fisionomia razziale della nazione’.
Gli art. 6 e 7 ribadiscono con forza i concetti della consolidata esistenza di una ‘pura razza italiana’ e della necessità che gli italiani ‘si proclamino francamente razzisti’.
Gli articoli finali delle leggi razziali risultano, come logica fascista impone, concretamente assoluti. L’art. 8 ammonisce che ‘…sono da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei (…) stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili’.
L’apoteosi finale si ha con l’art.9: ‘…gli ebrei non appartengono alla razza italiana’; dopo aver ricordato che nemmeno l’invasione araba in Sicilia ha lasciato tracce evidenti, l’enunciato conclude: ‘Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei’.
L’art. 10 conclusivo stabilisce che ‘…il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra–europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani’.