Andavo anche a conoscere gli altri laghi della regione. Un pomeriggio raggiunsi un lago completamente selvaggio, non aveva cioè villaggi intorno e mi piccai di percorrerne a piedi tutte le sponde. Partii da dove mi lasciò l’autobus, l’unico posto in cui esistesse qualche casa e cominciai questo giro che si rivelò insolitamente lungo, tanto che finii il periplo a sera tardi. Ripartii con l’ultimo autobus che mi avrebbe potuto riportare a Patzcuaro. Per mangiare o andavo nell’ottimo ristorantino che c’era in piazza, oppure pranzavo con i miei amici artisti, laddove Rolf distribuiva con sacralità il suo pane, quasi come fosse una comunione.
Insomma i miei giorni erano spensierati, sereni, tanto che m’era quasi venuta la tentazione di fermarmi definitivamente lì con loro. Una sera che ero tornato a Patzcuaro andai nel solito ristorante a mangiare e presi di nuovo una zuppa che avevo mangiato qualche giorno prima. Sentii che aveva qualcosa di strano, però la mangiai lo stesso; in realtà era la stessa zuppa conservata nei due o tre giorni precedenti. Mi venne una “vendetta di Montezuma”, el Vendigo de Montezuma, come lo chiamano laggiù, che mi ridusse uno straccio. Quella gastroenterite fu come un brusco risveglio. Avevo creduto di aver trovato la perfezione, mi sarei fermato definitivamente lì, con quei ragazzi.
Il fatto è che quando mi sento veramente amato la mia corazza si scioglie, mi sento nudo, sensibile, come senza pelle. Questo mi era successo lì, a Erongaricuaro. Mi sarei davvero fermato definitivamente con loro, avrei imparato a fare il pane con Rolf, forse avrei cominciato a scrivere le mie storie fin da allora… e invece no, dovevo continuare a viaggiare, la mia ricerca non si fermava lì, come in realtà non si è ancora fermata definitivamente. La mattina dopo, senza salutare nessuno, ripartii con il primo autobus.
(15/03/2013)