Una via asiatica alla modernità. È quella che l’India del nuovo millennio si sta sforzando di inseguire, fra tante contraddizioni e audaci sforzi di rinnovamento.
Anand Giridharadas, in Ritorno in India, ce la racconta secondo un punto di vista particolare, quello del reduce. Nato alla periferia di Cleveland, nell’Ohio, dove i genitori erano emigrati negli anni Settanta per sfuggire alla miseria, dopo la laurea decide di ripercorrere il tragitto dei suoi genitori nel senso inverso. Parte per l’India e si stabilisce a Bombay per lavorare come consulente aziendale. Con sé porta la sua ibrida educazione di americano abituato al benessere ma cresciuto in un ambiente fedele ai valori indiani, come il culto della famiglia e la mitezza dei comportamenti. E nella patria dei suoi avi scopre un universo che non corrisponde ai racconti e ai ricordi ascoltati. È l’India del boom economico, un paese antico invaso dai simboli del consumismo occidentale, e che fronteggia uno sconvolgimento culturale, nonostante i tentativi compiuti dalle nuove generazioni di conciliare i costumi tradizionali con le inedite aspirazioni dei ceti sociali emergenti.
Attraverso un racconto scandito da sei parole chiave – sogni, ambizione, orgoglio, rabbia, amore, libertà – Giridharadas ricostruisce la vita quotidiana dell’India di oggi, presentandoci una ricca galleria di imprenditori, industriali, leader politici no global o mistici religiosi.
Ma soprattutto si sofferma sui mutamenti che investono i rapporti tra genitori e figli, mariti e mogli, fratelli e sorelle, e che l’India sta reinventando alla sua maniera.
A emergere è il ritratto seducente di una nazione che si sforza di ammodernarsi rimanendo se stessa, e affronta gli attriti fra vecchio e nuovo con una salda fiducia nella sua autonomia culturale.