Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Viaggio intorno al viaggio

Un vademecum per tutti, nomadi e stanziali, da portare con sé in valigia o da tenere sul comodino, rivolto a chi ama viaggiare via terra o in volo ma anche dentro le pagine di un libro. Un libro che parla di viaggio, ma che non racconta di imprese. Impossibile ma vero. Tutto questo è “Il mondo nelle mani” di Anna Maspero, Polaris Casa editrice. Ecco un assaggio

Viaggio intorno al viaggio

 

Il viaggio è un’azione

a cui sono necessarie le parole.

Gian Luca Favetto

 

Un libro che parla di viaggio, ma che non racconta di imprese ormai già fatte o già viste, che non dispensa consigli per risolvere situazioni critiche e che non ha neppure la pretesa di essere un saggio di filosofia.

 

Una scrittura che confonde i generi, mescolando vita e storie, mondo interiore ed esteriore, viaggi e letture, saggistica e narrativa. La trama è il fluire del viaggio, divagando alla ricerca di senso fra i mille spunti che esso sa offrire a chi è in ascolto. Un po’ come Ulisse che, nonostante il fermo proposito di ritornare ad Itaca, prima di raggiungerla vagò nel Mediterraneo lasciandosi sedurre dal piacere dell’avventura, indugiando e perdendosi prima di ritrovare la rotta verso casa.

 

Sono riflessioni da viaggiatore a viaggiatore, intervallate da box con approfondimenti e brevi racconti, nate sulle pagine della rivista online “il reporter” e poi riscritte e ampliate per trasformarle in un “viaggio intorno al viaggio“, dal sogno, alla preparazione, alla realizzazione, al ritorno e alla memoria dell’esperienza vissuta. Un passaggio, quello dai post al libro, necessario per ricostruire un percorso di senso e lasciare una traccia, laddove invece la rete tutto ingloba, ma tutto disperde, come le gocce d’acqua nell’oceano. Al termine della lettura, scorrendo pagina dopo pagina o muovendosi in libertà fra parole e paragrafi come nella navigazione in rete, ciascuno avrà disegnato una mappa mentale personale per orientare il proprio cammino nel mondo.

PAROLE capaci di emozionare e di evocare lontane seduzioni, ma anche parole oneste, che scavano nei falsi miti del viaggio e ne rivelano le contraddizioni, gli incanti come i disincanti. Perché gli slogan servono solo per vendere.

 

PAROLE necessarie e non banali. Perché è inutile aggiungere altro rumore al rumore.

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PAROLE che hanno ali e radici. Perché ognuno di noi è un poco nomade e un poco stanziale.

PAROLE semplici, senza tecnicismi da lessico accademico. Perché l’esperienza del viaggio rimane la fonte e i destinatari sono altri viaggiatori, non degli addetti ai lavori.

PAROLE in cui cercarsi e forse riconoscersi. Perché la lettura ci rivela ciò che è già dentro di noi, anche se non detto e qualche volta neppure pensato.

Viaggio intorno al viaggio

PAROLE che parlano di viaggio. Per riflettere sul senso, o meglio sui sensi dell’andare, spostando il fuoco dai luoghi al viaggiare e al viaggiatore.

PAROLE che parlano a tutti gli appassionati di mondo. Perché siamo tutti “imperfetti viaggiatori” e ci siamo stancati sia dell’ostracismo del turista che della mitizzazione del viaggiatore.

 

PAROLE che danno vita a frammenti di pensiero da ricomporre come le tessere di un mosaico. Perché less is more e quella del frammento è forse la formula di scrittura più adatta a un’epoca di comunicazioni veloci, di stimoli continui e di eccesso di informazioni.

PAROLE da salvare. Perché solo le cose che hanno un nome esistono.

PAROLE che sfiorano la pelle del mondo e scavano alla ricerca di senso, disegnando un percorso in orizzontale e in verticale, fuori e dentro di noi. Perché il viaggio offre un diverso punto di osservazione sull’altro e l’altrove, ma anche su se stessi e sul proprio mondo. E alla fine contano soprattutto i chilometri percorsi dentro se stessi.

 

 

PARTIRE, PERCHÉ NO


Viaggiare è una brutalità. Obbliga ad avere fiducia negli stranieri e a perdere di vista il comfort familiare della casa e degli amici. Ci si sente costantemente fuori equilibrio. Nulla è vostro, tranne le cose essenziali.

Cesare Pavese


Ricordo le poche, misurate parole di un vecchio contadino per spiegare perché per lui felicità “l’è sta a ca sua”: “Viaggia chi non sta bene a casa propria, chi non ha casa viaggia per trovarsela, viaggia chi non ha soldi e chi ne ha troppi, viaggia chi non è felice perche non ha trovato il proprio posto. Io conosco solo due cose, la mia terra e le mie bestie e loro conoscono me, e sono un uomo felice”.

 

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 La vita gli aveva offerto due sole alternative, restare e sudare sulla terra o emigrare, e lui aveva scelto la sua zolla, elaborando una sua filosofia ricca di profonda saggezza contadina.

Viaggio intorno al viaggio

 

Oggi è diverso, ci troviamo davanti a una pluralità di possibilità che rendono la nostra vita più facile, ma certo anche più complessa. Vivere in un determinato luogo è per la maggior parte di noi una scelta e non un destino, come invece è stato fino a un passato ancora recente. Chi poteva restare, restava.

Chi non poteva, emigrava. E chi riusciva, tornava.

 

Viaggiare, escludendo gli spostamenti di lavoro, rientra nella sfera del superfluo. Per qualcuno è un’esigenza inferiore profonda, per qualcun altro voglia di fuga o semplicemente desiderio di interrompere la routine con una pausa salutare, per altri forse solo uno dei tanti bisogni indotti dall’industria dell’evasione. Per molti tutte queste cose insieme miscelate in dosi variabili. In un periodo di crisi economica si viaggia però meno o per periodi più brevi e diminuiscono i forzati del viaggio continuo, i bulimie! tesi soprattutto ad accumulare chilometri e paesi, così come quelli che partono più per abitudine, per moda o per noia che per piacere e per passione. Chi continua a viaggiare anche in periodi di crisi è più probabilmente un turista per scelta e non per caso. La necessità di contenerle spese diventa anche l’occasione per riscoprire mondi a noi più vicini, modi di muoversi più semplici ed essenziali e, non ultimo, per interrogarsi sulla necessità stessa del partire. Ecco allora alcune riflessioni-provocazioni fra il serio e l’ironico sul perché NON partire.

 

Io resto …

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… perché in agosto per starsene in pace è meglio Milano.

… perché non c’è nulla come il gabinetto di casa propria.

… perché il viaggio è anche noia, fatica, rischio… non per niente in inglese riposarsi si dice to rest, mentre la parola travel, “viaggio”, in origine significava “travaglio”, “lavoro”…

… perché le avventure che raccontiamo al ritorno sono quelle che durante il viaggio chiamiamo sfighe.

… perché quel che si trova viaggiando spesso delude le aspettative.

… perché alla fine si scopre che “tutto il mondo è paese” e che il diverso è sotto casa.

… perché il vero viaggio di scoperta è finito ed è sempre più raro provare straniamento e stupore.

… perché sul web si trova tutto ciò che un tempo si poteva conoscere solo spostandosi fisicamente.
… perché ormai anche per gli antropologi è più interessante studiare l’homo turisticus che l’abitante di atolli sperduti.

… perché partire è un po’ fuggire.

… perché a furia di viaggiare si diventa stranieri a casa propria e “nessuno” a casa d’altri.

… perché il viaggio è un’evasione solo apparente e si è sempre in libertà vigilata.

 

Morale: c’è del vero in tutte queste affermazioni, ma personalmente mi sento un po’ nomade e un po’ stanziale. Per me, curiosa di mondo, il “perché no” ha sempre un punto interrogativo alla fine…

(06/12/2013)

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