E poi la Musica sacra popolare, nata dall’opera del teologo moralista napoletano Alfonso Maria de’ Liguori, nato a Marianella nel 1696, nominato Vescovo di Sant’Agata de’ Goti e proclamato santo e copatrono di Napoli nel 1839. Una personalità poliedrica che visse in una città che lo stimolò continuamente e dove gli orfani venivano educati ricevendo anche l’istruzione canora e musicale nei conservatori napoletani, prima che questi divenissero istituti musicali. Il de’ Liguori, che era anche un musicista, m ispirato da una statua del Bambinello in fasce a grandezza naturale appartenuta alla madre e compose a Noia durante la novena del Natale 1754, parole e musica in 6/8 dell’Inno Tu scendi dalle stelle, il più famoso tra i canti natalizi in lingua italiana, tradotto e conosciuto in tutto il mondo. Per rendere comprensibile a tutti la sacralità del Natività, il religioso ricalcò la tecnica di diffusione dei valori religiosi utilizzata per il presepe e comunicò la spiritualità in dialetto. Nel 1758 scrisse Per la nascita di Gesù poi pubblicata nel 1816 col titolo diQuanno nascette Ninno a Bettalemme, una pastorale in vernacolo derivata nella struttura musicale da quella in italiano divenuta famosissima. Sant’Alfonso era un gran comunicatore e ai fedeli preferiva esprimersi proprio in napoletano per un’immediatezza di comprensione, ma la sua opera fu così completa da manifestarsi in diversi campi artistici e professionali, con un eclettismo tutto partenopeo che l’ha consacrato all’opinione pubblica come «il più Santo dei napoletani, il più napoletano dei Santi”. La dimensione del radicamento in Italia del canto natalizio nato al Sud è data un’affermazione di Giuseppe Verdi, pronunciata la notte di Natale del 1890, quando il compositore ascoltò la messa nella cappella del palazzo Doria a Genova e si complimentò con i cantori «per aver eseguito con bella intonazione quella tradizionale canzone sacra che è Tu scendi dalle stelle, senza la quale Natale non sarebbe Natale». Vale la pena evidenziare l’evidenza: ovunque ci si trovi, quando in occasione del Natale si canta in coro Tu scendi dalle stelle davanti a un presepe per poi riunirsi attorno a un tavolo con le cartelle numerate della tombola tra le mani, in realtà si sta proseguendo negli usi e nei costumi la tradizione natalizia per come si è configurata nel Settecento a Napoli. Città dove esiste una grotta in cui qualche millennio fa si celebravano i riti mithraici, poi sostituiti da quelli religiosi del santuario di Piedigrotta costruitevi innanzi.
D’altra parte, il grande architetto ormai neoclassico, che stava mandando in soffitta le ricercatezze e le pomposità del tardo-barocco, non poteva apprezzare il presepe, che era espressione artistica barocca. In realtà, tanto il barocchismo del presepe napoletano quanto il suo neoclassicismo architettonico condividevano un forte aspetto culturale: gli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, che stavano rivoluzionando le correnti intellettuali europee. Il presepe ne fu influenzato nelle sue sembianze quanto lo fu la Reggia di Caserta, ed espresse tutta la novità con un’ambientazione in cui il rinascente gusto per le antichità classiche era ben visibile nella scena della Natività. Le figure del Bambino, della Vergine Maria e di San Giuseppe erano infatti collocate non più in una grotta ma fra le rovine di un antico tempio tra archi, colonne e capitelli, col Vesuvio dipinto sullo sfondo oppure realizzato in forma plastica.
Tutte le novità della Napoli settecentesca entravano nel presepe, che non proiettava più solo la sacralità della nascita di Cristo ma anche l’attualità del mondo locale, dai primi spaghetti colorati di rosso pomodoro ai forni per le pizze che i napoletani iniziavano a mangiare; dalla frutta alla verdura di cui la città era ricca; dalle mozzarelle alla cacciagione; dai costumi di Terra di Lavoro, Basilicata e Calabria agli abiti dei pastori d’Abruzzo; dai mandolini alle carte da gioco. Tutto ciò che accadeva nel mondo reale del Regno trovava spazio nel presepe. Ancora oggi, la mondanità profana continua a entrare prepotentemente nelle creazioni di San Gregorio Armeno, con pastori dalle sembianze di capi di Stato, uomini politici, sportivi e vip vari.
Salito al trono di Spagna, Carlo III porto con sé un grande presepe napoletano e alcuni artigiani che gli consentirono di avviare la tradizione anche a Madrid, dopo che i rapporti tra Napoli e la Spagna avevano già prodotto una corrente catalana a Barcellona.
Nella prima metà dell’Ottocento, al termine del Regno di Ferdinando I delle Due Sicilie, la grande stagione della moda presepiale si spense lentamente e con essa anche la passione sfrenata e dispendiosa dei napoletani per quegli allestimenti che, una volta smontati, divennero preziosi oggetti d’arte da vendere. Di quei completi esemplari, pochissimi sono giunti a noi e ciò che si è salvato è stato trasferito al Museo di San Martino e alla Reggia di Caserta, ma anche al Museo nazionale bavarese di Monaco di Baviera, dove sono esposte importantissime collezioni. L’arte si trasformò nel Novecento in artigianato, quello pregiato di San Gregorio Armeno o anche quello popolare delle tante famiglie napoletane che continuarono la tradizione costruendo presepi sempre nuovi, talvolta con mezzi propri o attingendo proprio dalla nota strada del centro antico di Napoli. Ed è così che si usa fare ancora oggi. La massiccia emigrazione fece si che il presepe napoletano si diffondesse al Nord-Italia e anche all’estero, dove diverse correnti si sono sviluppate. Ma il presepe moderno, nell’aspetto più diffuso e ammirato, resta una tradizione che ha in Napoli il suo epicentro e che, nonostante il consumismo imperante, sopravvive a fatica all’usanza pagana dell’albero di Natale, accettato anche dal mondo cattolico e diffusosi dall’Ottocento in Europa e nel mondo.
Così Napoli ha lasciato la sua impronta anche sul Natale occidentale, partendo alla conquista dell’Italia, dove, insieme alla tradizione borbonica del presepe, è stata adottata anche quella della tombola.