Nella ricca e tormentata storia italiana la famiglia Gonzaga ha giocato un ruolo enorme. Quasi spropositato rispetto alla estensione contenuta dei loro possedimenti. Possedimenti limitati a Mantova e ai territori limitrofi incuneati tra il Po, la Serenissima Repubblica di Venezia e l’ex-Ducato di Milano. Salvo un breve periodo nel quale, per motivi dinastici si trovò a regnare anche sul Monferrato. La parabola dei Gonzaga si svolge in un lasso di tempo che va, dal 1328 quando Luigi diventa Capitano del Popolo di Mantova, al 1627 quando muore Vincenzo, l’ultimo discendente diretto. Poi trascinata fino al 1708 quando viene cacciato per fellonia Ferdinando Carlo del ramo francese dei Gonzaga-Nevers.
Una famiglia, quella dei Gonzaga di condottieri, santi, cardinali, accorti politici. Tutti però accomunati da uno smisurato amore per il bello, la cultura e l’arte, tanto da diventare esempio del “Principe” rinascimentale. Musicisti come Claudio Monteverdi, letterati come Ludovico Ariosto e Baldassar Castiglione, architetti come Leon Battista Alberti e Giulio Romano, pittori come Andrea Mantegna o Piet Rubens sono le perle che ancora oggi rifulgono sulla corona splendente della gloria gonzaghesca e basta girare per Mantova per trovarne le tracce.
I Gonzaga e l’atmosfera unica di Mantova
La città sorge su una lingua di terra circondata da tre lati da altrettanti laghi formati dal fiume Mincio: il Lago Superiore, il Lago di Mezzo e il Lago Inferiore. Storicamente si è sviluppata a partire dalla punta. Della città etrusca e romana rimane poco, invece l’impianto medioevale e rinascimentale è rimasto chiaramente visibile.
Il terremoto del maggio 2013 ha danneggiato ma, fortunatamente, non distrutto irreparabilmente molti edifici storici che sono attualmente in fase di restauro. Rimane intatta l’atmosfera romantica delle stradine e delle piazze dove perdersi in una visita senza tempo. Come il meraviglioso profilo che si può vedere al tramonto uscendo da Porta San Giorgio dal ponte di via Legnago che divide il Lago di Mezzo da quello Inferiore.
Quello che colpisce di Mantova non sono solamente i suoi capolavori d’arte. Piuttosto è l’atmosfera (i francesi la chiamerebbero “Flair”). Una sensazione di tranquillità, benessere, gioia di vivere che si percepisce guardando le facce delle persone, vedendole discutere sotto i portici del centro. Una bonomia che riporta alla civiltà contadina propria di questa zona di vaste coltivazioni e grandi allevamenti vicina al “Gran fiume” come lo chiamava Giovannino Guareschi.
Sapori della storia
E difatti Mantova non delude mica coloro che cercano sapori tipici. La cucina mantovana è particolare perché riesce ad abbinare gusti e ricette disparati. Piatti popolari e ingredienti del territorio utilizzati nella loro stagione. Semplicissimi. Come la polenta e la zucca, accostati a ricette elaboratissime dei cuochi della corte ducale. Una filosofia di cucina che oggi va tanto di moda con il famoso “chilometro 0” ma che già era stato divulgato nel 1474 da Bartolomeo Sacchi, detto il Platina con il suo trattato di gastronomia “De honesta Voluptate et valetudine”, una vera bibbia della gastronomia per tutte le corti europee.
Quello che si gusta nelle tante osterie e ristoranti cittadini viene direttamente dai tempi passati. I famosi tortelli ripieni di zucca mostarda e amaretti conditi col burro fuso e la salvia sono citati per la prima volta già nel 1584; la torta di tagliatelle sembra sia stata servita la vigilia di Natale 1655 alla regina Cristina di Svezia ospite del Duca Carlo; il cappone alla Stefani, carne sbollentata servita con un’insalata di verdura fresca con uvetta, pinoli e condita con aceto balsamico è una ricetta del 1662 del cuoco di corte Bartolomeo Stefani; il riso vialone nano, che sta tornando in auge e i meloni sono una produzione tipica di queste ricche terre.
È una cucina padana, simile a quella emiliana (tra l’altro Mantova, intorno all’anno Mille era possedimento dei Canossa) anche il vino tipico è il Lambrusco Mantovano DOC che si produce nell’area più vicina al Po, quella vicina a Viadana.
Il grande museo
Come Mantova si sia ingrandita lo si capisce percorrendo i circa 2,5 chilometri dell’asse Nord-Sud. Il cosiddetto “Percorso del Principe”, tra i due poli più importanti culturali e politici della città: Palazzo Ducale e Palazzo Te. Il cuore della città è l’area di Piazza Sordello che, anticamente era un’isola del fiume Mincio. Qui si trova gran parte dei monumenti mantovani: la Cattedrale di San Pietro, medioevale all’esterno e rinascimentale all’interno opera di Giulio Romano; la trecentesca torre della Gabbia; i palazzi Bonacolsi, Castiglioni e vescovile e soprattutto il Palazzo Ducale.
A inizio ‘600 Ferdinando Gonzaga, 6° Duca iniziò a catalogare le opere d’arte della sua collezione, la più importante d’Europa e collocarle nel palazzo. Erano 20mila oggetti d’arte e 1.800 quadri degli artisti più importanti degli ultimi due secoli. Una collezione enorme, la “Celeste Galleria”.
Oggi di questa meraviglia rimane poco. Pressato dai debiti i Gonzaga dovettero vendere (o svendere, a seconda delle interpretazioni) parte dei loro tesori. Le nove tele che compongono “Il Trionfo di Cesare” oggi ad Hampton Court a Londra, furono cedute per una cifra irrisoria al re d’Inghilterra Carlo I insieme a circa 150 quadri e cento statue.
Quello che non fecero i debiti lo fecero i lanzichenecchi nel 1630 con saccheggi e distruzioni. Nonostante tutto, anche oggi il Palazzo Ducale è un capolavoro d’arte composto di ambienti distinti e separati tra loro costruiti in epoche diverse a partire dal XIII secolo; troviamo affreschi come il ciclo cavalleresco del Pisanello, la “Camera degli sposi”del Mantegna, i lavori di ebanisteria, gli arazzi fiamminghi su cartoni di Raffaello.
La gloria dell’Imperatore
Dalla parte opposta della città, su quella che una volta era l’Isola del Tejeto, in mezzo al Lago del Paiolo (prosciugato nel ‘700), Federico II Gonzaga incaricò nel 1525 Giulio Romano di costruire il palazzo per l’”honesto ocio”, un luogo di grande lusso e raffinatezza, di volta in volta palazzo di rappresentanza, residenza di vacanza, sala per banchetti e (non secondaria) garçonniere. Un luogo siffatto doveva creare meraviglia e ammirazione negli ospiti e visitatori e così è anche oggi.
Palazzo Te ha una struttura in fondo semplice ispirata dalle ville romane. Nasconde però al suo interno una ricchezza incredibile di contenuti; basterebbe solamente la “Sala dei Giganti” con gli affreschi di Giulio Romano che coprono tutte le superfici disponibili della stanza quadrata e che descrivono l’episodio narrato da Ovidio del tentativo dei giganti di scalare l’Olimpo.
Sulla cupola che costituisce il soffitto della sala, un Giove terribile lancia i suoi fulmini sugli assalitori sterminandoli e, chi entra nella stanza, si trova circondato dalle figure dei giganti piagati e sconfitti. L’effetto è indescrivibile e certamente ognuno, nel suo inconscio, potrà trovare il proprio significato. Per alcuni storici dell’arte Giove sarebbe l’Imperatore Carlo V mentre i giganti sarebbero i francesi che erano stati da lui sconfitti. Tra l’altro, Carlo V concesse a Federico il titolo di Duca e visitò Mantova poco tempo prima della costruzione del palazzo.
Palazzo Te ospita anche il Museo Civico con la sezione gonzaghesca e anche una delle poche raccolte di reperti mesopotamici in Italia.
In cammino tra le bellezze
Tra questi due poli, si è sviluppata la città e Palazzo Te è ormai inglobato nel tessuto urbano. Già nel Medioevo il corso del Mincio era stato regolato per ricavare terreno edificabile e creando i famosi tre laghi. L’area medioevale si estende dal cinquecentesco Voltone di San Pietro che chiude Piazza Sordello al Rio, un canale artificiale, quasi del tutto interrato, che segue l’andamento della seconda cinta muraria.
La via Broletto e il suo prolungamento, via Roma, fanno da asse e anche qui, nel raggio di mezzo chilometro troviamo gli altri capolavori, l’Arengario; il Palazzo del Podestà; il Palazzo della Ragione; la rotonda di San Lorenzo, la chiesa più antica di Mantova in stile romanico; la venezianeggiante Casa del Mercante; la Basilica di Sant’Andrea, anch’essa di Giulio Romano; i portici rinascimentali di Piazza Marconi con degli affreschi attribuiti al Mantegna e alla sua scuola.
Mantova e il Mantegna
A proposito del Mantegna, la sua casa è visitabile e vale assolutamente la pena fermarsi. Raggiungerla è facilissimo perché si trova sempre sul famoso “Percorso del Principe”, su via Acerbi nella zona dell’area di espansione rinascimentale che inizia da Via Principe Amedeo (la continuazione di Via Roma). L’artista ha progettato la sua casa il cui cortile circolare è in realtà perfettamente iscritto in un quadrato. Per non farci mancare niente, la chiesetta praticamente di fronte, il Tempio di San Sebastiano, è un’opera di Leon Battista Alberti risalente al 1460 circa. Poco oltre, il Palazzo di San Sebastiano era la “casa” delle famose nove tele del Trionfo di Cesare” del Mantegna di cui dicevamo sopra, prima che queste prendessero la strada di Londra. Oggi il palazzo è il Museo della Città.
Ormai siamo nelle vicinanze di Palazzo Te che si trova in fondo alla via. Si incrociano due larghi viali, che una volta erano un canale, il limite meridionale della Mantova gonzaghesca. Oltre Palazzo Te c’era la campagna. E anche oggi non è cambiato molto. Piatta e piccola com’è Mantova è ideale per essere percorsa in bicicletta e, una volta che si sono inforcate le due ruote, via alla scoperta dei dintorni anche perché è circondata da parchi e il Mincio regala degli angoli incantati tra canneti, piante acquatiche e boschetti.
Info:
www.mantovasabbioneta-unesco.it