Una pioggia torrenziale ci sorprende lungo il trekking ma si va avanti lo stesso; il giro è lungo e non possiamo permetterci che diventi buio. Passiamo tra le piante e le mandrie di bestiame, scavalchiamo fili spinati e praterie verdissime, scendendo fino alla sponda sabbiosa e mobile del lago.
In un’oretta arriviamo alla palude, dove Rudy e la jeep ci aspettano. Quindi ripartiamo per l’ultimo scorcio di Ometepe prima di rientrare a Moyogalpa; accompagniamo Fabio per una decina di chilometri, deve andare in chiesa, e ci concediamo l’ultima sosta camminando sulla punta di terra Jesus Maria, bellissima.
Questa lingua di terra entra lunga e stretta nel lago per un chilometro; il vulcano Concepcion da un lato, il Madera dall’altro, nulla più attorno a noi. È uno dei posti più suggestivi di questa bella perla che è l’isola di Ometepe e da qui, adesso, stanchi morti, davvero non verremmo mai via.
Ma si torna a Moyogalpa dopo 9 ore di tour. Sono le 5 passate. Continua a piovere. Una coca gelata, una doccia, piove tantissimo. La strada è completamente buia, non c’è illuminazione. Decidiamo di tornare a mangiare nel posto di ieri sera, forse a tentoni ci arriveremo. Il primo problema lo incontriamo non appena usciamo dall’albergo; la strada in discesa di fronte a noi è diventata un fiume in piena ed è pressoché impossibile attraversarla. Il paese è completamente al buio, allagato, c’è poca gente in strada.
È davvero emozionante per noi essere qui in questo momento anche se il disagio è notevole. Al buio riusciamo a guadare l’impeto del fiume d’acqua, con una certa inquietudine. Ormai siamo per strada e non possiamo più tornare indietro. Cercando di distinguere le ombre scure e andando a tastoni sul muro raggiungiamo il ristorante, non c’è nessuno, né luce.
Cerchiamo riparo e non ci rendiamo conto che il vero problema lo creiamo ai poveri gestori del ristorante che non possono nascondere sorpresa e preoccupazione nel vederci entrare; si prodigano immediatamente improvvisando qualche candela e ci fanno sedere nel posto di ieri. Per fortuna la luce decide di tornare dopo qualche minuto. Non appena spiove un po’ il cortile si riempie lentamente di persone, per lo più turisti in cerca di riparo, che come noi grondano acqua sulla terra rossiccia. L’ottima carne ci consola un po’ dell’umidità e il rum ci asciuga le membra. Siamo stanchi, è tardi ma finalmente dopo circa un’ora da quando siamo entrati l’aria si fa dolce e calda. Non pioverà più.
(18/04/2014)
La loro curiosità dev’essere conseguente alla nostra meraviglia; sono abituate infatti all’uomo perché convivono tranquillamente con i locali, ma le nostre facce all’insù devono essere quanto mai buffe e originali. Però si stancano in fretta e una di loro decide simpaticamente di evacuarci in testa. Per fortuna manca l’obiettivo, ma è un segnale che ci dice che è meglio lasciarle in pace e ritornare sulla nostra strada.
Al nostro passaggio rompiamo cerchi di magnifiche farfalle gialle, che in un attimo si riformano alle nostre spalle, la più grande sempre al centro, le più piccole tutto intorno a lei. Il bambino, discreto a osservarci, per un attimo è tornato piccolo come la sua età, felice di averci accontentati e averci fatto scoprire i monocongo. Decide di tornare sulla sua strada, alza un braccio come in gesto di saluto, aggrotta il bel viso a ritrovare l’espressione intensa e seria, e se ne va.
Rudy sorride della nostra gioia nell’aver visto le scimmie e ce ne promette ancora. Con la jeep guadiamo un fiume che si getta nel lago tagliando la nostra strada. Nasce dal vulcano e a pochi metri da qui diventa un corso d’acqua di rispettabile portata. Gruppi di donne stanno lavando i panni mentre si fanno il bagno e curano i bambini, tutto contemporaneamente, mentre altre giovani donne bellissime e signorili, ci vengono incontro con i catini pieni di panni in equilibrio sul capo.
Rudy ci spiega che una volta alla settimana le donne del villaggio vanno al fiume e lavano i panni per tutta la famiglia e oggi è proprio il giorno di bucato. Di tanto in tanto lasciamo la selva per costeggiare il lago e le sue belle spiagge. Alcune sono particolarmente conosciute e frequentate dal turismo locale, come la spiaggia di Santo Domingo proprio sull’istmo, adesso quasi interamente sommersa dall’acqua ma che nel periodo secco è scoperta per chilometri e chilometri di sabbia bianca.
Il sud di Ometepe è ben più fitto e inestricabile del nord; anche il percorso in jeep è diventato più difficoltoso e in diversi punti temiamo di non poter passare; sarebbe un problema perché non esistono strade alternative a questa che stiamo percorrendo. Passiamo Balgue, El Socorro, El Coroza e Merida, costeggiando il verde vulcano Madera.
In mezzo alla natura rigogliosa passiamo la nostra giornata; le scimmie dopo un po’ non si contano più e tutte ci danno il benvenuto evacuandoci in testa, mentre filari di manghi e palme ci accompagnano nel viaggio. Conosciamo gente splendida che ci trasmette il calore e l’entusiasmo nel conoscerci, chi più disinvolto, qualcuno più timido, ma tutti a modo proprio speciali.
Sulla strada per il ritorno ci fermiamo a mangiare qualcosa in un posto sul lago conosciuto da Rudy, all’altezza di Santo Domingo. Siamo proprio sulla riva sotto un patio. Il padrone di questo posto è un americano benestante. A mangiare ci siamo solo noi e un uomo di mezz’età che si accompagna con due giovani donne, probabilmente madre e figlia; l’atteggiamento di quest’uomo nei confronti delle due donne è morboso e insistente, purtroppo qui esiste anche la prostituzione per motivi di sopravvivenza.
Un’oretta ce la godiamo così, sull’amaca, giocando con un simpatico pastore tedesco nell’acqua del lago. L’unica cosa che mi disturba è l’atteggiamento dell’uomo verso le due donne che, evidentemente infastidite, accettano a fatica le sue avance.
Decidiamo di proseguire a piedi fino alla palude del Charco Verde e prima di rimetterci in jeep facciamo una bellissima camminata con Fabio, un giovane conosciuto qui che ci fa da guida accompagnandoci lungo la costa, passando in mezzo alla foresta vergine accanto a cavalli liberi e animali curiosi.