Martedì 7 Maggio 2024 - Anno XXII

Cambogia: i sentieri della guerra

Lungo il romantico Mekong, dalla meravigliosa antichità d’Angkor, in Cambogia, fino alla moderna esuberanza di Saigon, in Vietnam. Il libro di Alberto Bagus “I sentieri della guerra”, Ibiskos Editrice ci porta a scoprire agghiaccianti verità sugli orrori della guerra, ma anche a conoscere meglio i luoghi e i popoli che ci vivono

cambogia motodop foto di Jean Sien-Kin
moto dop-foto-di-Jean-Sien-Kin

Fuori dalla modernità dell’aeroporto, la Cambogia della stagione secca è una pianura radiosa e polverosa. La strada per la città sembra una pista sterrata che si distingue appena da i campi circostanti. In Cambogia si viaggia con il moto-dop, con cui si presenta il mio ufficiale di collegamento a Phnom Penh, Cristina, amica di un’amica e anche lei una dei milioni d’italiani in fuga. Il moto-dop è un motorino con un’asse imbottita in sostituzione del sellino. Trasporta le persone, ma anche cose e animali, che riescono a starci. Sotto un bel sole tropicale, ci avviamo quindi in tre e perfino senza casco verso la confusione polverosa della capitale. Dà un senso di libertà andare in moto con il vento tra i capelli. In effetti, la moto è questo, una libertà che altrove il casco ha ormai ucciso. All’altare della sicurezza stiamo sacrificando i piaceri della vita. Sulle strade, in Cambogia, l’unica regola è nessuna regola. Il codice della strada è ancora qualcosa di lontano da questo popolo così povero da non possedere nemmeno la parola traffico. Agli incroci non si ferma nessuno perché, in fondo, a velocità ridotta la possibilità di un incidente tra motorini è molto bassa e anche quando accade è solo un evento tanto innocuo quanto quello tra biciclette. Qui il tempo scorre in modo diverso, il significato della parola fretta è sconosciuto. In città ci sono anche dei semafori, ma sono presi solo come decorazioni. Quelli più importanti sono presidiati da poliziotti che dovrebbero farli rispettare, ma ottengono solo di diventare anche loro degli spartitraffico e, paradossalmente, provocano più infrazioni di quante ne avverrebbero in loro assenza. […]

cambogia La copertina di 'I sentieri della guerra'
La copertina di ‘I sentieri della guerra’

La Cambogia è ignorante. Lo è perché tutta la conoscenza è stata sterminata dalle bande armate di Pol Pot e ora la maggioranza del popolo cambogiano sa leggere e scrivere a malapena. Insegnanti e maestri ce ne sono pochi, è passato troppo poco tempo da quando sono stati tutti trucidati. È evidente che i cambogiani soffrono di questa loro condizione. Lo dimostra la curiosità che hanno per qualsiasi cosa e il rigore quasi militare con cui i bambini sono mandati a scuola. Almeno non hanno quell’attaccamento all’ignoranza di altri popoli, in fondo l’unico peccato davvero imperdonabile.
L’ignoranza porta a una possibilità di lavoro piuttosto limitata. Lontano dalle campagne e dal lavoro agricolo, i ragazzi guidano moto-dop. Le ragazze svolgono le faccende e accudiscono bambini. Cristina ha una bambina, che ha una bambinaia. Questa è la gerarchia. È un indubbio lusso poter disporre di una simile risorsa. anche se lusso è un termine alquanto relativo perché in Cambogia il costo della vita è molto basso e, dunque una bambinaia a tempo pieno è alla portata di chiunque abbia un lavoro, anche modesto. La bambinaia di Cristina è una ragazza che se la passa piuttosto bene. Ha una stanza tutta per lei che non deve condividere con altri cinque, perlomeno, una cucina nella quale può sbizzarrirsi e dove lo fa effettivamente. Si arriva a casa e si trova la cena in tavola. Naturalmente bambina e bambinaia mangiano per conto loro, per non  disturbare padroni di casa e ospiti. Non è male. In effetti, a tavola i bambini sono insopportabili. Si cena con i nuovi sapori della Cambogia. Un pepe indigeno di un’aromaticità squisita che, senza pizzicare, riempie il naso con il suo profumo. Verdure dal sapore sorprendentemente intenso e un’erba dal nome altisonante di Morning Glory. Per la cena di benvenuto, Cristina ha pensato bene di offrirmi il piatto nazionale il Lok lak, una delizia inaspettata.

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cambogia Phnom Pehn, visione aerea
Phnom Pehn, visione aerea

Dunque eccomi a Phnom Penh, la città più vitale che finora abbia mai visto perché, pur essendo povera, sporca, polverosa, disordinala, a volte puzzolente, gli aggettivi più adatti a descriverla sono al contrario, radiosa, briosa e spensierata. È una capitale, ma il suo carattere rimane quello di un paese di campagna. Caseggiati bassi e distanziati, strade polverose animate dal milione e più di cambogiani che vi si aggirano nelle loro lente e tranquille faccende tropicali. Un villaggio con l’estensione di metropoli, adagiato lungo una riva del Mckong. Il grande fiume è per la città come un confine, sull’altra riva ci sono solo risaie verdi. È forse il fiume di cui si ha l’idea più romantica, credo per via del nome. Per un fiume mi sembra il più bello al mondo. Me, “madre”, kong, “cose”. In lingua khmer, la madre di tutte le cose. Prima di diventare tale, in Laos il Mekong ha un nome anche più bello: Menam. Nam, “acqua”. Acqua madre. Sono nomi che qui, come in tutta l’Asia, celebrano la femminilità come fonte della vita, come fosse un’immagine impressa nel codice genetico di questo continente, dove non solo la geografia ma anche le divinità, le espressioni artistiche, le danze, le forme di case e templi, in qualche modo hanno sempre qualcosa di femminile. […]

cambogia Il tempio sulla collina
Il tempio sulla collina

In lingua khmer, ptmom significa “monte”. Phnom Penh è dunque un nome proprio, quello di una collina pare suo nucleo originario. È un piccolo parco con grandi alberi alla fine di Norodom, proprio in mezzo alla città. Sulla cima della collina c’è anche un tempio. Per salirvi ci sono delle grandi scale, affiancate da balaustre ondulate a forma di serpente, il Naga divino dell’epica khmer e indù. La prima impressione che se ne ha è quella di un parco tranquillo e ameno, ma ben presto ci si rende conto che non lo è per nulla perché infestato da macachi petulanti e dispettosi. Sembrano degli animaletti buffi dagli occhi timidi ma in realtà sono bestioline senza pudore né timore che scorrazzano dappertutto e, se capita, usano la gente come alberi per giocare. Ti saltano sulla testa, si attaccano ai vestiti, ti rimbalzano contro le gambe quando giocano a rincorrersi l’una con l’altra. Hanno il vezzo di rubarti, per poi subito distruggere qualunque cosa riescano ad afferrare, cappelli, occhiali, borse. Ma ciò che più imbarazza è che spesso hanno un comportamento osceno. A cavallo del Naga, i maschi copulano con le femmine e l’anatomia dei primati non è tanto diversa da quella umana, anzi è proprio uguale. Insomma sembra una grande orgia, poco consona alla religiosità del luogo. Ma in fondo, in Oriente non c’è mai stato un tabù sessuale e la gente non ci bada. […]

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cambogia Palazzo-reale
Palazzo-reale

Il palazzo reale di Phnom Penh è in scala uno a due di quello di Bangkok. L’architettura khmer si distingue a malapena da quella tailandese. Il palazzo è una vasta area di giardini pieni d’alberi tropicali, in mezzo a cui sono sparpagliati i molti padiglioni. Pagode dai tetti verdi e arancioni, porte e cornicioni a foglia d’oro. Alcuni sono residenze, altri templi, altri ancora sono semplici edifici di servizio, ma distinguerli non è facile poiché condividono tutti lo stesso aggraziato aspetto.Alcuni affreschi sui muri perimetrali illustrano la lunga storia khmer. […]

 

 

National-Museum-Phnom-Penh
National-Museum-Phnom-Penh

Il museo nazionale di una capitale andrebbe sempre visitato, indipendentemente da quello che vi è esposto, se non altro per capire quale sia la natura degli oggetti ritenuti meritevoli di far parte della storia del Paese. In quello di Phnom Penh c’è una notevole quantità di opere d’arte, perché nel passato remoto cambogiano vi è lo splendore dell’impero khmer con la sua grande capitale Angkor, ora considerata una grande meraviglia. Ovviamente le opere provengono quasi tutte da quel sito. Alto e bassorilievi, sculture e statue, ma l’esposizione è lacunosa e anche un po’ disordinata. Si guarda senza capire, perché il gran numero di reperti è ammassato in uno spazio troppo ristretto e alla fine il museo sembra più un grande magazzino. Alcuni oggetti sono appoggiati l’uno all’altro così da rendere impossibile il vederli per intero, molte sculture sono adagiate per terra, addirittura . L’impressione da magazzino non è per niente casuale. Il museo è davvero un deposito temporaneo per l’ enorme numero di reperti restituiti dalla vastità d’Angkor. Il fatto è che proprio ad Angkor si sta costruendo un maestoso museo nuovo, il futuro vero museo nazionale. In effetti è Angkor la capitale culturale della Cambogia, la grande, spettacolare Angkor perduta nella giungla. […]

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