In Spagna esistono due razze di maiale (in spagnolo: cerdo, cochino, puerco, marrano, gorrino, chancho) entrambe derivanti dal Sus Mediterraneus, a sua volta discendente dal primo maiale domestico, il Sus Scrofa Ferus (l’Adamo dei prosciutti universali) il cui allevamento ebbe inizio in Cina 5000 anni prima di Cristo.
Una razza è costituita dal comune maiale – identico a quello delle cascine e degli allevamenti italiani – dalla pelle prevalentemente rosa, o chiazzata col nero, il cui prosciutto (jamòn) dagli spagnoli è comunemente chiamato pata blanca (zampa bianca). All’altra specie, allevata soprattutto nel sudovest della Spagna (l’Andalusìa, l’Estremadura, la provincia di Salamanca) appartiene il cerdo iberico dalla cui zampa posteriore (la pata, mentre quella anteriore, la nostra spalla, si chiama paleta) nasce il prelibato prosciutto jamòn de pata negra. Il maiale iberico si differenzia molto da quello blanco e potrebbe, grosso modo (solo per una approssimativa semplificazione, perché in realtà costituisce una vera e propria razza suina), essere paragonato a un incrocio tra un cinghiale e un comune maiale nostrano.
La principale diversità consiste nel tessuto carnoso ed è riscontrabile mettendo a confronto una normale fetta di ciascun prosciutto: quella del blanco vede la parte magra occuparne la zona centrale e il grasso contornarla; la carne magra del pata negra è invece attraversata da strisce di grasso di differente spessore (le vetas).
L’alimentazione dell’iberico, allevato prevalentemente nelle regioni ove abbondano l’olivo, la quercia (roble), il leccio (encina) e il sughero (alcornoque) fa poi la differenza e non solo per il palato. Il grasso del jamòn de pata negra é anche lodato perché il colesterolo contenuto non è ad alta intensità (limitati i rischi di infarto) a fronte del cattivo rapporto tra il grasso del pata blanca e le malattie cardiovascolari. Le olive e le ghiande (bellotas) grufolate dal cerdo iberico, contengono infatti molto acido oleico (dai benefici effetti sulla salute, garantito dalla dieta mediterranea), mentre gli acidi grassi saturi quali il palmitico e lo stearico – presenti nella carne del cerdo blanco o pata blanca – non ripuliscono a dovere vene e arterie.
Dal “sacrificio” alla lavorazione del prosciutto
L’inizio del jamòn coincide con la fine del maiale, la sua matanza (ma gli addetti ai lavori preferiscono la parola Sacrificio, con grande rispetto della gente della terra nei confronti degli animali con cui convivono). Il Sacrificio avviene durante la Montanera (periodo tra novembre e marzo) al raggiungimento del peso ottimale di 160/180 kili.
Molto importante è l’alimentazione, condizionata dalla pioggia caduta prima e durante la Montanera. Se la ghianda cade sul terreno umido si ammollisce e risulta più tenera, quindi ghiotta, al cerdo che oltretutto la mastica accompagnandola con l’erba (quasi un contorno d’insalata) spuntata dopo la pioggia. Morale: rinfrescata e ripulita la bocca dall’amaro della ghianda, il futuro pata negra ne guadagna in appetito e quindi in peso. Compiuto il Sacrificio le spoglie del maiale restano appese un giorno per limpiarse, pulirsi, dopodiché – separati da coppa, lardo e salsicce – i futuri jamones e paletas trascorrono 7/8 giorni sotto sale prima di essere nettati con l’acqua, esattamente come un’automobile tra gli spazzoloni delle stazioni di lavaggio.
Dopo bagni e salature segue un meritato riposo di 50 giorni in celle dalle condizioni climatiche opportunamente regolate (il sale penetra meglio abbassando l’umidità e aumentando la temperatura). Giunta la stagione delle vacanze, in primavera, il quasi prosciutto se ne va in ferie all’aria pura di ventilati stanzoni posti ai piani alti della fabrica, fino alla fine dell’estate. Infine, ultima méta, la cantina d’invecchiamento, che un ‘pata negra‘ degno di questo nome abiterà per non meno di due e non più di tre anni.
Dimagrimento salutare
Quasi si trattasse di un atleta, il jamòn affronta il congedo in perfette condizioni di peso-forma, mediamente 8/ 9 chili: dal momento del Sacrificio ha perso il 40% del peso e un ulteriore 7% annuo – per disidratazione o perdita naturale (la merma) – lo lascerà prima di finire convenientemente affettato. Considerato che entrambi vanno a invecchiare in cantina, una attinenza tra vini e prosciutti non è fuori luogo. Come annualmente accade a una bottiglia del re dei vini spagnoli, il Vega Sicilia, anche un pata negra è prenotabile pagando un anticipo (señal) del 20%: molti settori delimitati di una cantina di invecchiamento custodiscono partite di jamones ‘reserva’ etichettati con i nomi di grandi ristoranti, charcuterias alla moda, privati gourmets dai palati raffinati.
Licenziato dal produttore il prosciutto può essere degustato senza indugi o attendere ulteriormente il giorno del taglio inaugurale, che va sempre eseguito tassativamente a coltello (in Spagna sull’aborrito rapporto tra l’odiata l’affettatrice e il pata negra si racconta una barzelletta tanto osé quanto esplicativa). Contrariamente a quanto ritenuto, il pericolo di deterioramento di un prosciutto intero – se accuratamente invecchiato e poi ben conservato – è inesistente: come una sorta di mummia é infatti impermeabile ai vermi e la cosiddetta muffa esterna altro non è che innocua microflora.
Ovvio che il jamòn de pata negra (beninteso quello de bellota) non diventa soltanto per caso un oggetto di culto (in salumerìa un jamòn costa circa 50 € al kilo, venduto intero, anche più del doppio se lo si acquista affettato, mentre la paleta – con più scarto – vale poco più della metà). L’alto costo del prodotto é dovuto a un lungo e attento processo di allevamento e lavorazione.
L’assaggio finale. Meglio ancora, la degustazione
È giunto finalmente il momento di assaporare la divina zampa, non prima di avere imparato la sua esatta denominazione: jamòn de pata negra de bellota (in Italia si parla a vanvera di jamòn serrano – che altro non è che qualsiasi normale prosciutto prodotto in collina o montagna, la Sierra – e si cita con enfasi il Jabugo, località andalusa sinonimo di prosciutto iberico ma non per questo garanzia del prodotto).
Così tragicamente male abituati a scartare il grasso del prosciutto, non vogliano gli assaggiatori italiani demonizzare anche quello del pata negra. Va assolutamente degustato, non solo perché non ha nulla a che vedere con l’odiato colesterolo, ma soprattutto per la soavità prodotta mentre si scioglie a contatto con il palato. Un piacere sublime, godibile solamente se la loncha che stiamo assaporando é stata rigorosamente tagliata a coltello (ai rei che, per tagliare il glorioso jamòn non ricorressero al canonico cuchillo, sia raccontata la vetusta, non meno che osé, barzelletta spagnola sull’affettatrice).
Cosce nobili e altre un po’ meno
Poco dopo la nascita, all’età di due mesi, il cerdo viene castrato e alla femmina sono asportate le ovaie (per facilitarne l’ingrassamento e per evitare che poco esaltanti aromi di ormoni sessuali si trasferiscono dal pelo nella carne). Per il resto dei suoi giorni al maiale non resta che crescere in spazi sempre più generosi (e non è poco: l’ideale, dicono gli esperti, sarebbe un intero ettaro a disposizione di un solo cerdo), pascendosi esclusivamente delle già lodate ghiande (bellotas) fin quando, verso l’inverno, i frutti di querce e sugheri scompariranno e la sua alimentazione avverrà per il resto dell’anno con il pienso (mangime).
Prima del Sacrificio, che avviene -come già segnalato – durante la Montanera (novembre/marzo) si compiono i destini del jamòn e i suoi quarti di nobiltà sono decisi dalla alimentazione finale. Se all’animale – oltre alle ghiande – é somministrato anche altro mangime (per vari motivi, ad esempio la necessità di maggior peso o l’assenza di ghiande dovuta alla siccità), il futuro prosciutto sarà ovviamente un pata negra ma con denominazione de recebo (e costerà un filino meno caro nei tanti Museos e Catedrales del Jamòn delle grandi città spagnole). La zampa del maiale che prima del Sacrificio é stato nutrito soltanto con ghiande, avrà invece diritto di fregiarsi del nobile titolo (documentato su apposita etichetta e menzionato su ogni menu che si rispetti) di pata negra de bellota.
Il taglio del prosciutto: quasi una ‘religione’
In Spagna, in un ristorante o in famiglia, il taglio del jamòn è contestualmente rito liturgico e operazione commerciale (più costa, meno si butta via). Dopo aver tagliato con un robusto machete la dura corteza (pelle) all’altezza del jarrete (garretto) il prosciutto va fissato sul jamonero (il marchingegno di supporto, in alcune regioni d’Italia chiamato violino) per essere affettato con il lungo e affilato cuchillo jamonero, da maneggiare a mò di archetto come se si trattasse di suonare uno Stradivari.
La posizione del jamòn sull’apparecchio sacrificale dipende dai tempi previsti per il suo consumo. Se si pensa (per esempio in famiglia) di affettarlo in tempi lunghi la pezuña (palma del piede) va rivolta abajo (verso il basso), in modo da affettare subito la parte più dura e dar tempo a quella molle di rassodarsi. Se invece il jamòn sarà fatto fuori alla svelta (accade nei ristoranti), meglio sistemarlo con la pezuña arriba, palma in su (tanto vale – anche per motivi estetici – tagliare subito la parte superiore, più fresca, che comunque non avrebbe tempo per stagionarsi, eppoi girare la zampa e degustarne la parte inferiore, che dura era e tale sarà rimasta). Nessuna strategia per il taglio della paleta, spalla: la pezuña va sempre abajo.
Spinto da un polso e da una mano non rigidi (e come giocando al tennis si può tagliare il jamòn anche ‘di rovescio’) il coltello deve entrare nel prosciutto, a un quarto della sua lunghezza (dal manico), con un movimento armonioso – colpi lunghi e ben distesi – e ininterrotto (evitare gli escalones, gradini, in caso contrario occorre intercalar, livellare, non importa se il livellamento produrrà minifettine). Ne sortirà una fetta, loncha, che nel nord della zona di allevamento del cerdo iberico (Salamanca, Extremadura) si usa tagliare più lunga (grazie anche alla precedente asportazione dell’osso femorale, il violìn) mentre in Andalusìa (dove tre fette fanno una tapa, assaggio) l’osso resta e se bordea il cuchillo intorno.