Nelle precedenti puntate ho proceduto alla descrizione delle highlights della gita, goduta mediante stop a Rovigno, Spalato e Curzola. Passo ora a narrarne la parte finale, celebrata mediante brevi ma intensi soggiorni dalmati a Dubrovnik/Ragusa, Makarska e Zadar/Zara. Eccomi infine al punto più meridionale della mia gita croata, a Ragusa.
La nomino in italiano non per vieto nazionalismo. Bensì solo perché così era nota nei tanti secoli di gloriosa storia convissuta nell’Adriatico con la a me cara Serenissima.
Dubrovnik: un reddito medio pro capite da invidia
Uno Stato piccolo quanto a territorio, quello dell’attuale Dubrovnik, ma vastissimo se si fa riferimento all’estensione dei traffici prodotti dai ragusani (basti accennare all’esistenza di ben 30 consolati di Ragusa in altrettante città e porti del Mediterraneo, per non parlare di una colonia in India).
Nel ‘500 il reddito medio pro capite dei cittadini della repubblica nota per il motto Libertas superava di molto quello di francesi, spagnoli e inglesi. Risultando secondo soltanto all’income dei veneziani. A un secolo prima risale il geniale acquedotto (altra testimonianza dell’alto grado di sviluppo della città l’antica farmacia del monastero francescano) per non parlare dell’intelligenza politica dei ragusani. Il loro Statuto prevedeva che il Rettore restasse in carica un solo mese (per un politico, periodo già abbondantemente sufficiente per fare danno e/o mettere qualcosa in saccoccia).
La ricchezza vien dalla salina
Mi affretto a precisare che (a differenza di Curzola e delle tante altre località della costa dalmata) Ragusa fu per secoli Libera Repubblica indipendente. Tuttora i cittadini sbandierano con vanto questo encomiabile status generato da giudiziosi Statuti. Dal 1358, Trattato di Zara che mise fine a più di un secolo di influenza del Leon de San Marco, al 1797, data della fine di una gloriosa storia voluta da quel balosso del Napoleone, nefasto inventore di quei nazionalismi che negli ultimi due secoli hanno reso l’Europa un grande cimitero.
E la storia della Libera Repubblica – solo nominalmente vassalla del regno d’Ungheria – è tanto grande e prospera quanto piccole furono le dimensioni. Due chicche: fu il primo Stato della Terra ad abolire la schiavitù, 1436, e, 1776 a riconoscere l’indipendenza degli USA. Ma Ragusa arrivava pur sempre fino a Ston – vedi precedente narrazione della penisola di Peljesac/Sabbioncello – laddove una ricchissima salina garantì per secoli molta ricchezza. Molto invidiata dalla Serenissima, che fortunatamente possedeva la salina della romagnola Cervia, appunto chiamata Veneziana, sennò ci sarebbe scappata un’altra guerra.
Gli anni della guerra
Vittima del ciclone scatenato dal già citato Napoleone, nei primi anni dell’’800 Ragusa divenne francese. Ma solo fino al Congresso di Vienna (1815) dopo di che fu austroungarica per poco più di un secolo e jugoslava fino al 1991. E i primi anni della Ragusa croata costituirono per la città un autentico martirio. Assediati, niente acqua, elettricità, telefono, cibo scarsissimo e bombardati dal mare e da terra (si medita durante la salita in funicolare a una Fortezza Imperiale che per le truppe serbe e montenegrine costituì la piattaforma di un criminale tiro al bersaglio) i ragusani subirono devastazioni sia materiali (Dubrovnik è dal 1979 Patrimonio dell’Umanità) che psichiche.
Tea Batinic (brava guida non meno che colta artista e per di più, per anni, concittadina milanese: grazie per il bel libro su Ragusa decorato dai disegni La Linea inventata dal mè amìs Cava, quello dell’omino della Bialetti) visse quel dramma e mi racconta che gli assedianti sparavano proiettili (600 granate il solo 6 dicembre 1991) di non grosso calibro (ma in tali dosi da generare pesanti danni) ma perfidamente insistevano nei bombardamenti con sistematica periodicità al fine di logorare la psiche degli assediati.
Turismo croato, tra marketing e olio di gomito
Visitando Ragusa ti sorprende pensare che tanta tragedia fu perpetrata soltanto poco più di vent’anni fa (non per polemica con il mio Belpaese ma all’Aquila il terremoto sembra accaduto una settimana fa e sono già passati più di 5 anni…). E invece non passò che poco tempo e la Dubrovnik croata si ripresentò, ricostruita e ripittata e se si parla nuovamente di assedio, stavolta, evviva, si tratta di quello dei turisti (Marijana mi racconta che la Croatia Airlines ha financo operato voli charter col Giappone).
Una marea di visitatori (alla Porta di Pile manca poco che il traffico in entrata e uscita sia regolato a senso unico alternato) affolla lo Stradun abbellito da case d’epoca che si affacciano su una lucida pietra levigata, e tanta altra gente incontri percorrendo i poco meno di 2 km della suggestiva cerchia delle mura. E bravo il Turismo croato, tra marketing e olio di gomito davvero un bel lavoro.
Confortato da un breakfast ok – ma che buoni yogurt fanno nei Balcani – proposto al Rixos Libertas (albergo da sciur, camere con terrazza degradanti sul mare) lascio Ragusa alias Dubrovnik e intraprendo la strada del ritorno (ma di roba da vedere ce n’è ancora molta) … arrivederci sulla Neretva, ai laghi di Imotski, a Makarska, con galop finale a Zara …
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